GIULIO BASE/ Tra Bar Giuseppe e i Nastri d’argento: “Non ho mai vinto, ora ci spero”

Dopo il successo de <em>Il banchiere anarchico</em>, Giulio Base con <em>Bar Giuseppe</em> ha portato la Natività ai giorni nostri: ecco la nostra intervista col regista

A due anni di distanza da “Il banchiere anarchico”, gioiello del cinema italiano presentato a Venezia 75, Giulio Base è tornato dietro la macchina da presa per raccontare la Natività ai giorni nostri. Dal 28 maggio è disponibile su Raiplay il suo “Bar Giuseppe” (clicca qui per vedere il film), un’opera coraggiosa e attuale che riesce a colpire lo spettatore, invitato a porsi delle domande su temi assai delicati. L’ultima fatica del cineasta torinese ha ottenuto la candidatura ai Nastri d’argento 2020 per il Miglior soggetto – terza nomination dopo quelle per “Crack” (miglior regista esordiente, 1992) e per “Il pretore” (migliori costumi, 1994) – e, intervenuto ai nostri microfoni, Base ha messo in chiaro di sperare in una vittoria a trent’anni dalla prima candidatura, ma la priorità è «sapere che la gente apprezza i miei lavori». Ecco la nostra intervista.

Com’è nata l’idea di girare un film come “Bar Giuseppe”?

L’idea è partita dall’incontro con il libro “Giuseppe” di Gianfranco Ravasi. A me piace girovagare per le librerie, cercare libri nuovi e questo mi colpì perché in copertina c’era un dipinto di Giuseppe molto anziano con il bambinello in braccio. Per la prima volta in vita mia dopo 50 anni mi sono chiesto perchè noi siamo abituati a vedere questa figura di nonno più che di padre, con Maria quasi una bambina e questo nonno lì accanto. Ho preso questo libro in mano, ho iniziato a sfogliarlo e mi ha colpito molto la potenza del racconto di questo uomo silenzioso, umile, semplice e lavoratore. Da quel momento ho iniziato a pensare di raccontare la storia di un uomo così, contrario a tutto ciò che dei nostri tempi mi infastidisce: il profluvio assurdo di parole, urla, la rabbia, l’incomprensione, il maschilismo, il razzismo e tutto ciò che Giuseppe non è. Ho iniziato a studiarlo ed a cercare di capire dove poter incanalare questo studio. Poi, leggendo tutt’altro mesi dopo, ho trovato in un altro libro la parola ‘Bar-abbà’, che in aramaico vuol dire ‘figlio di Giuseppe’. Allora sono andato a riprendere la Bibbia ed i Vangeli in originale – scritti in aramaico – tutte le volte che era citato Gesù era citato come Yeshua Bar Yosef, ovvero Gesù figlio di Giuseppe. È come aver visualizzato dove mettere quel carattere che volevo raccontare, l’intreccio si è dipanato in maniera molto chiara…

La sceneggiatura è scarna, semplice, quasi a voler rappresentare i silenzi di Giuseppe…

La sceneggiatura all’inizio era molto più lunga e più barocca, mentre Giuseppe era muto, esattamente come nei Vangeli. Ma a quel punto diventava al limite del buffo: potevo raccontare una disabilità, ma non era quello che mi interessava in questo caso. Sono andato a togliere, come se il mondo intorno al personaggio fosse quello. Il rischio è di cadere nel profano o nel risibile. E allora ho tolto, mi fa piacere ricordare alcuni esempi: al funerale nessuno fa il segno della croce, al cimitero non c’è nessuna croce, o ancora il matrimonio si celebra in Comune. In un mondo “distopico”, è anche difficile raccontare una stretta realtà: per questo motivo ho disegnato un mondo metafisico. Il fatto che il film stia piacendo così tanto in questi giorni è forse legato anche al fatto che non sia disturbante dal punto del social distancing, in un periodo delicato come quello attuale…

Forte della tua laurea in Teologia, hai avuto timore o ‘timidezza’ nell’approcciarti a “Bar Giuseppe”?


No, direi di no, ho provato a fare tutto quello che avevo in testa, diversamente da altri film che nascevano sull’argomento – “San Pietro” e “Maria Goretti”, per citarne due – editorialmente canonici e agiografici. Qui ho cercato di mettere anni di studi e di conoscenze, però cercando di dire la mia. Non ho voluto proporre il Vangelo secondo Giulio Base, figuriamoci, ma ho voluto approfondire quella meravigliosa e rilevante storia d’amore – forse la più rilevante storia d’amore del mondo – Semmai il timore era che mi strappassero il certificato di battesimo o che mi scomunicassero (ride, ndr). Mi concedo delle libertà, ma sono arrivate delle risposte favolose, anche dal magistero della Chiesa.