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Home » Politica » Referendum » REFERENDUM GIUSTIZIA/ Limiti alla custodia cautelare, un Sì che chiede subito una legge

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REFERENDUM GIUSTIZIA/ Limiti alla custodia cautelare, un Sì che chiede subito una legge

Corrado Limentani
Pubblicato 8 Giugno 2022 - Aggiornato alle ore 07:02
Carcere di San Vittore

Carcere di San Vittore a Milano (LaPresse)

Uno dei quesiti più discussi del referendum del 12 giugno è quello sulla limitazione delle misure cautelari (scheda arancione). Un Sì che chiede subito una legge

Uno dei quesiti più discussi tra quelli ammessi al referendum del 12 giugno è quello intitolato “Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274 lettera c) del codice di procedura penale in materia di misure cautelari nel processo penale” (scheda color arancione). 

Qui è in gioco la tutela della libertà personale degli individui.


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Secondo i promotori è necessario porre un limite alla facoltà di arrestare le persone, alla luce delle allarmanti statistiche diffuse di recente secondo cui in appena dodici mesi ben mille persone sono state arrestate, ma poi, a seguito di regolare processo, sono state assolte e in seguito risarcite dallo Stato, che ha loro pagato oltre 43 milioni di euro. Senza tener conto dei traumi personali e familiari che caratterizzano l’esperienza del carcere, traumi che segnano per tutta la vita una persona soprattutto se poi riconosciuta innocente.


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Da qui l’esigenza di limitare i casi per i quali è consentita l’emissione di una misura cautelare (carcere, arresti domiciliari, obbligo di presentazione in questura, ecc.).

Per arrestare una persona l’art. 274 del codice di procedura penale, oltre alla necessità di individuare gravi indizi di responsabilità, richiede la sussistenza di una tra queste esigenze cautelari: il pericolo di fuga, il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di commissione di gravi reati quali delitti commessi con l’uso delle armi o con la violenza, fatti di terrorismo o di criminalità organizzata oltre che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello ascritto all’imputato. 


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I promotori vogliono abrogare proprio quest’ultima parte della norma, quella che consente di arrestare in caso di pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si sta procedendo. 

Di conseguenza, se vince il Sì, sarà possibile arrestare le persone solo se indagate per fatti gravissimi quali appunto i reati commessi con le armi o con violenza, fatti di terrorismo o delitti di criminalità organizzata (salvo naturalmente sussista una delle altre esigenze cautelari sopra indicate: pericolo di fuga o di inquinamento delle prove). Certo è che sarà molto più difficile emettere un’ordinanza cautelare e gli arresti diminuiranno drasticamente. 

Ma l’abrogazione di questa articolo del codice di procedura penale (o meglio di una parte di questo articolo) determinerebbe anche un vuoto normativo che dovrà essere colmato.

Diverrebbe infatti impossibile procedere all’arresto di soggetti autori di reati di una notevole gravità, seppur non caratterizzati dall’appartenenza a gruppi di criminalità organizzata. Non potrà essere arrestato uno spacciatore che vende droga o chi ponga in essere un’estorsione che non sia commessa con l’uso di armi o di mezzi di violenza personale o chi commetta gravi fatti di corruzione. È evidente che tale divieto rischia di creare grave allarme sociale.

Giusto quindi abrogare questa norma che consente di abusare dell’uso della custodia cautelare, cui si deve ricorrere solo per reati gravi e in casi estremi e che non deve trasformarsi in una sorta di pena scontata in via anticipata rispetto all’accertamento della responsabilità; ma, subito dopo, occorrerà modificare il testo normativo e prevedere la possibilità di arrestare autori seriali di reati gravissimi.

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