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Home » Politica » MELONI A KIEV/ I dubbi (Usa) da sciogliere per rimescolare le carte in Europa

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MELONI A KIEV/ I dubbi (Usa) da sciogliere per rimescolare le carte in Europa

Anselmo Del Duca
Pubblicato 22 Febbraio 2023
Giorgia Meloni in conferenza stampa con Volodymyr Zelensky (LaPresse)

Giorgia Meloni in conferenza stampa con Volodymyr Zelensky (LaPresse)

La Meloni è riuscita ad andare a Kiev tra molti ostacoli: Berlusconi, i dubbi Usa e il caso-Sanremo. Ma ora più di prima ha bisogno della fiducia di Biden

Aveva promesso una visita a Kiev prima dell’anniversario dell’aggressione russa, e ci è riuscita. Promessa mantenuta per Giorgia Meloni, ma il prezzo da pagare è stato altissimo. La premier ha dovuto dribblare una serie enorme di ostacoli. Il primo, e forse più banale, le sue precarie condizioni di salute, segno della fatica di governare. Ma quello è un ostacolo che ha superato con la forza di volontà. Ben più seri sono stati i problemi, tanto sul piano interno, quanto su quello internazionale.


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Il primo ministro italiano si è vista rubare la scena dall’arrivo del presidente statunitense Biden. L’ha battuta di poche ore, attirando su di sé i riflettori della ribalta internazionale, e costringendola a ore di attesa, non ripagata neppure da un fugace faccia a faccia. Le due delegazioni si sono sfiorate nell’aeroporto polacco di Rzeszow, e la Meloni si è dovuta accontentare di un colloquio telefonico, da un aereo all’altro. Ha incassato un invito alla Casa Bianca, ma niente più. Se ci fosse stata la volontà di dare un segnale politico sarebbe bastato poco per organizzare una foto a bordo dell’aereo presidenziale americano.


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Difficile non leggere questo trattamento tutt’altro che di favore insieme ai fatti europei degli ultimi dieci giorni: Zelensky che vola prima a Londra e poi a Parigi, la cena all’Eliseo, cui Macron chiama il cancelliere tedesco Scholz ma non la premier italiana, e la fugace stretta di mano con il presidente ucraino a margine del Consiglio europeo di Bruxelles. Per Giorgia Meloni sembra che gli esami di euroatlantismo non finiscano mai: la diffidenza con cui il nuovo governo italiano è stato accolto sul piano internazionale rimane sostanzialmente intatta.

Eppure lei sta facendo di tutto per accreditarsi. La solerzia nel sostegno all’Ucraina è in pieno nel solco indicato da Draghi (e da Mattarella), compreso lo sblocco dell’avanzatissimo sistema antiaereo italo-francese Samp-T, di prossima consegna a Kiev. Se fosse stato per lei, il presidente ucraino avrebbe dovuto parlare in diretta agli italiani durante il Festival di Sanremo, e certo il pasticcio creato da Bruno Vespa con un invito condiviso da Palazzo Chigi, ma mal gestito dai vertici Rai che ne erano all’oscuro, non è stato gradito.


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Nel viaggio in terra ucraina, comunque, Meloni ha compiuto un percorso impeccabile: l’omaggio alle vittime degli orrori di Bucha e Irpin (dove non ha nascosto la commozione) e le parole dopo il lungo faccia a faccia con Zelensky. “Con voi fino alla fine”, ha garantito, spiegando di ritenere una scommessa sulla vittoria dell’Ucraina avere avviato la discussione sulla ricostruzione del Paese martoriato da un anno di attacchi e bombardamenti dell’aggressore russo.

Quel che Meloni sapeva di non poter evitare è che le venisse chiesto conto della palla al piede costituita dal suo alleato di governo Berlusconi. Zelensky ha mostrato di crede alla premier, quando questa ha assicurato che ciò che conta è la compattezza dimostrata dalla maggioranza in tutti i voti parlamentari che hanno ribadito il pieno sostegno alla causa ucraina. Ma la rasoiata riservata al leader di Forza Italia è stata pesante: “Si vede che a lui non hanno mai bombardato casa”, ha scandito il leader ucraino.

Inutile girarci intorno: significa che il governo italiano di centrodestra rimane sotto stretta osservazione. Significa che gli alleati non si fidano fino in fondo. Per guadagnare la patente di credibilità Meloni dovrà faticare ancora tanto, dovrà mostrare fatti (ad esempio, aiuti militari più consistenti), e non parole. Dovrà soprattutto tenere a bada i suoi alleati tuttora tacciati di filoputinismo. E se Salvini pare aver scelto una linea cauta, la vera mina vagante resta Berlusconi. Perché, al netto delle smentite di circostanza e della faticosa tessitura di Tajani, il feeling tra Arcore e l’uomo del Cremlino non sembra archiviato. La Meloni non può tollerarlo: in caso contrario le verrà a mancare quella sponda Usa necessaria a contrastare il motore franco-tedesco dell’Europa, che sulla vicenda ucraina sembra più che mai ingolfato. Un’occasione d’oro per rimescolare le carte nell’Unione mentre si aiuta Kiev. Due piccioni con una fava, un’opportunità che non può essere sprecata.

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