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Home » Esteri » Medio Oriente » DOPO GAZA/ Israele vuole la Cisgiordania ma così divide Trump e Stati arabi

  • Medio Oriente
  • Usa
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DOPO GAZA/ Israele vuole la Cisgiordania ma così divide Trump e Stati arabi

Int. Ugo Tramballi
Pubblicato 22 Febbraio 2025
Cisgiordania, funerale di palestinesi uccisi dai soldati israeliani (Ansa)

Cisgiordania, funerale di palestinesi uccisi dai soldati israeliani (Ansa)

Mentre tengono banco ostaggi e tregua a Gaza, l’IDF continua a distruggere le case dei palestinesi in Cisgiordania, che resta la priorità per Israele

La tregua a Gaza è sempre più in bilico e, dopo lo spettacolo messo in scena da Hamas per la consegna dei cadaveri di quattro ostaggi, gli israeliani sono sempre più determinati a riprendere i combattimenti. Ma la guerra, in realtà, c’è ancora, osserva Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, soprattutto in Cisgiordania, dove prosegue la distruzione delle città palestinesi e le aggressioni da parte dei coloni.


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È quello il territorio che la destra religiosa che appoggia Netanyahu vuole veramente, perché lì si è sviluppata la storia del popolo ebraico, in Giudea e Samaria. Ora toccherà a Trump dire se l’annessione di questi territori è fattibile, ma rischia di inimicarsi i Paesi arabi e di non concludere più affari con loro.


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La tregua a Gaza è in bilico e la liberazione degli ostaggi ha riacceso gli animi da parte israeliana per la messinscena di Hamas. Intanto, però, in Cisgiordania l’IDF spacca strade, distrugge case, negozi e infrastrutture a Jenin e Tulkarem. Wafa, l’agenzia di stampa palestinese, segnala 500 posti di blocco che di fatto impediscono la mobilità. Per non parlare degli attacchi dei coloni. Una guerra dimenticata?

Gli israeliani è dal 1948, e poi dal 1967, quando hanno conquistato la Cisgiordania, che rubano terre agli arabi. È una lenta appropriazione. Quello che sta accadendo è un conflitto in corso da molto prima che scoppiasse la guerra di Gaza, che in qualche modo è scaturita dalla risposta di Hamas e della Jihad islamica all’offensiva che continua da quando in Israele c’è questo governo di estrema destra: gli alleati di Bibi Netanyahu sono l’equivalente ebraico dell’Isis.


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L’attacco alla Cisgiordania si è accentuato solo in queste settimane?

Già nel 2022 si era notato che il numero dei morti e degli arrestati palestinesi in Cisgiordania era tornato ai livelli della seconda intifada, perché questo governo di estremisti aveva iniziato un’offensiva proprio lì. Per gli ebrei, soprattutto gli ultra-religiosi, per cui la terra è stata data da Dio, il cuore dell’ebraismo non è Gaza, non è il mare. Non sono mai stati un popolo di navigatori come i Fenici o come i Romani, sono sempre stati un popolo di montagna, di collina.

È in Cisgiordania, in Giudea e Samaria, come loro chiamano la West Bank, che è nato ed è cresciuto il popolo ebraico e si sono sviluppati i suoi regni: il regno di Giuda, il regno di Davide. È questo il vello d’oro dell’estremismo ebraico da conquistare.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 nasce anche come reazione a questa pressione sulla Cisgiordania?

La brutale aggressione di Hamas del 6 ottobre è figlia di decenni di occupazione. Chi critica il comportamento dei palestinesi, che spessissimo merita di essere criticato, dovrebbe provare a vivere in Cisgiordania tra centinaia di posti di blocco. Oggi ti impediscono di andare a scuola, domani di andare all’ospedale, dopodomani ti arrestano.

Un bambino di 10 anni che lancia una pietra contro una jeep blindata viene preso, arrestato e messo in galera con l’accusa di terrorismo. Quella dei palestinesi nei territori occupati è una condizione invivibile. Anche la vicenda delle bombe che sono state trovate sui bus vuoti e fatte brillare dai servizi israeliani è esemplificativa.

In che senso?

Si sono inventati la storia che le avevano messe i palestinesi e che non funzionavano. Non si può confermare, ma è altamente possibile che le abbiano messe proprio i servizi. Non è morto nessun israeliano, però loro possono dire che l’obiettivo era quello di ammazzare centinaia di persone sugli autobus.

Si parla tanto di ricostruzione di Gaza, ma da quello che si legge, l’IDF, a Jenin e a Tulkarem, in tutti i campi profughi, sta distruggendo case, negozi e impianti dell’acqua. Qui non si parla di ricostruire perché è sicuro che gli israeliani ci vogliono restare?

Tutto il mondo è concentrato su Gaza, sulla tregua, sul vertice della Lega araba. Si parla pochissimo della Cisgiordania. Non è che gli israeliani entrano in città puntando alla cattura di un gruppo di miliziani e poi se ne vanno: arrivano con le ruspe, distruggono infrastrutture, strade, impianti elettrici. Usano bulldozer blindati come i carri armati: gli americani ne hanno appena mandati di nuovissimi.

A Gaza e in Cisgiordania si applicano strategie diverse?

Quando Trump ha proposto di mandare via i palestinesi da Gaza, non era ispirato da una visione biblica, ma solo economica. In Cisgiordania tutto avviene in modo più scientifico: gli israeliani è dal 1967 che, lentamente, occupano e distruggono. A Gerusalemme Est, se sei un arabo palestinese, devi stare attento: se ti allontani da casa per un certo periodo di tempo, magari per un anno, perdi i tuoi diritti su di essa.

Passando alla tregua di Gaza, invece, possiamo ancora credere che reggerà? Lo spettacolo mandato in scena da Hamas durante la consegna dei corpi degli ostaggi convincerà Israele che bisogna tornare a combattere?

Hamas ha inscenato tutto questo non per l’opinione pubblica occidentale, ma per quella araba: il messaggio che mandano è che sono vivi, pronti a sacrificarsi, e che hanno ammazzato i nemici. Intanto, però, uno dei cadaveri restituiti non è quello di Shiri Bibas, la madre dei bambini morti. Tutta questa prova di finta efficienza che sta dando da qualche weekend a questa parte nasconde in realtà il caos all’interno di Gaza. A un certo punto neanche Hamas sapeva dove erano gli ostaggi.

Quindi romperanno la tregua o andranno avanti?

No, la tregua non la rompono. Almeno fino alla scadenza della prima fase. Nella seconda c’è la forte volontà israeliana di riprendere la guerra come prima. C’è la resistenza, appunto, dei familiari, dei nostalgici, ma c’era anche in precedenza, e i familiari erano molti di più. Se gli ostaggi sono stati liberati adesso e non prima, è colpa di Netanyahu: l’accordo firmato è lo stesso che aveva già pronto Biden, ma il premier israeliano non lo ha voluto.

Gli americani in tutto questo che cosa vogliono? Sono disposti ad assecondare Israele per tornare a combattere?

A una domanda in conferenza stampa, in occasione della visita di Netanyahu, sulla possibilità per Israele di annettere la Cisgiordania, Trump ha risposto che l’idea non è male, ma che ci deve pensare. E si è preso un mese per pronunciarsi.

A quella scadenza mancano dieci giorni. Quella risposta sarà una svolta. Nel suo interesse di uomo d’affari non è un grande business concederla: l’Arabia Saudita e gli Emirati hanno già detto che non faranno affari con gli Usa se Israele annette la Cisgiordania o va avanti con questa progressiva occupazione di fatto.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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