L’Ucraina non ha terre rare, ma altre risorse. Gli Usa le sfrutteranno mettendosi d’accordo anche con i russi, per cercare di tenerli lontani dalla Cina
L’Ucraina, in pratica, non ha terre rare, ma non per questo è meno interessante per gli americani. L’accordo Kiev-Washington sulla ricostruzione del Paese nel dopoguerra prevede, infatti, l’istituzione di un fondo alimentato da entrambe le parti proprio grazie ai proventi dello sfruttamento di altre materie prime, di cui il territorio ucraino è ricco: carbone, gas, minerali di ferro, ma anche titanio e litio.
Un’operazione, spiega Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, che per gli USA dovrebbe comportare un accordo con i russi, visto che gran parte di queste risorse si trova nei territori occupati dall’esercito di Putin.
Riconoscendo nuovamente la Russia come interlocutore a livello internazionale, gli Stati Uniti vogliono provare a staccarla dalla Cina, anche se difficilmente ci riusciranno. Di sicuro, Mosca, ora che ha riacquistato peso, non è più il socio debole dell’alleanza.
Americani e ucraini hanno raggiunto un accordo sullo sfruttamento delle terre rare. In cosa consiste?
Quello che sappiamo è che si tratta di un accordo in seguito al quale i proventi della vendita di minerali e delle risorse strategiche ucraine verranno ripartiti al 50% in un fondo detenuto da americani e ucraini insieme.
L’altro tema sul tavolo in questa vicenda è il battage sulla presunta ricchezza di terre rare del sottosuolo ucraino, di cui, invece, l’Ucraina è fondamentalmente priva. Quando si parla di terre rare, si fa riferimento, nello specifico, a un gruppo di 17 elementi: di questi, Kiev ha un po’ di scandio, ma finisce lì.
Perché allora gli americani sono così interessati a sfruttare le risorse naturali del Paese?
La ricchezza dell’Ucraina riguarda più il titanio, la grafite e, soprattutto, il gas, il carbone e i minerali di ferro. Su questo verte la trattativa con gli Stati Uniti, sullo sfruttamento di queste materie prime. Non so perché si è parlato tanto di terre rare, forse perché è un’espressione che, giornalisticamente, fa più effetto. Ci sono, comunque, risorse strategiche, minerali critici. C’è il litio, di cui, però, c’è sovrapproduzione a livello mondiale: negli ultimi due anni il prezzo è crollato dopo i picchi del 2022.
Il litio è conosciuto soprattutto per l’uso che se ne fa nelle batterie delle auto elettriche. Le altre materie prime di cui è ricca l’Ucraina, invece, a cosa servono?
Il titanio viene utilizzato nelle applicazioni militari, il carbone e il minerale di ferro per la produzione di energia, così come il gas. La grafite ha usi militari e per le applicazioni legate alla transizione energetica. Queste materie prime sono in gran parte in territori occupati dai russi e, quindi, anche su questo gli americani devono trattare con Mosca.
Qual è il vero obiettivo degli USA?
Gli Stati Uniti vogliono allontanare la Russia dalla Cina e hanno conferito un nuovo status a Mosca, che, da paria delle relazioni internazionali, è tornata ad essere considerata come interlocutrice dagli americani. Questo avviene nell’ottica della vera guerra che ha in testa Washington, che è contro la Cina, non contro la Russia. Nella trattativa sull’Ucraina, gli americani faranno pesare ai russi il fatto di averli riammessi nello scacchiere internazionale e i russi li ripagheranno probabilmente cedendo delle quote di territori occupati.
La Cina è leader mondiale quanto a materie prime in generale: concedere, da parte russa, agli statunitensi la possibilità di sfruttare il territorio ucraino è in qualche modo uno sgarbo a Pechino?
No. Quello che probabilmente può infastidire la Cina è che Washington abbia riconosciuto la Russia come interlocutrice, rafforzando il ruolo di Mosca nell’alleanza con Pechino. La Russia è sempre stata considerata, in questi anni, la junior partner dell’alleanza: con questa azione americana, recupera un po’ di terreno nei confronti della Cina. Che poi gli americani riescano a spezzare l’alleanza, non lo credo. L’intento c’è, ma, secondo me, non ci riusciranno. Di certo, faranno un favore a Mosca, ribilanciando i rapporti di forza con i cinesi.
Che impronta politica dà alla trattativa questo accordo sulle risorse naturali?
È fondamentale: anche gli americani hanno capito che le materie prime rappresentano un pilastro irrinunciabile nelle policy attuali e future. In questo contesto, si capisce perché hanno mostrato interesse, in maniera piuttosto assertiva, per la Groenlandia, che è molto ricca di terre rare. Gli USA sanno che, per arrivare al tavolo negoziale con la Cina con un posizionamento solido, devono avere anche una presa sulle materie prime, altrimenti rischiano di presentarsi indeboliti. L’accordo con l’Ucraina è un segno dei tempi, del fatto che, appunto, oggi le commodities sono tornate sicuramente all’agenda dei governi.
Terre rare e terre critiche: qual è la differenza e perché vengono chiamate così?
Nelle terre rare rientra un gruppo ben preciso di 17 elementi. La rarità dipende dalla lavorazione necessaria per beneficiare delle proprietà del singolo elemento. Il problema, in questo caso, non è l’estrazione, ma la raffinazione, che è un procedimento molto inquinante ed energivoro, richiede un alto consumo d’acqua ed è il motivo per cui, nei decenni, questa attività è stata delocalizzata in Cina, che si occupa del 90% della raffinazione mondiale.
L’Occidente, se volesse, potrebbe diventare un player importante del settore, facendo concorrenza alla Cina?
Ci vuole la volontà politica. Finché abbiamo in essere il Green Deal o la sua versione junior, il Clean Industrial Deal, non andremo da nessuna parte. Le terre rare sono presenti anche in Italia: in Sardegna ci sono giacimenti di fanghi rossi che sono pieni di scandio. Occorre la volontà politica di sfruttarli, che non sempre viene messa a terra: il DL Materie Prime, che è stato licenziato dal governo questa estate, non prevede nessun tipo di diritto di prelazione per la difesa su quei metalli che sono cruciali per la nostra sicurezza strategica.
Perché ci sono, invece, materie che chiamiamo critiche?
Sono critiche per l’obiettivo della transizione energetica e dell’autonomia strategica.
(Paolo Rossetti)
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