Nell’apprendimento, in condizioni di reddito medio-elevato, le interazioni genitoriali hanno un ruolo chiave. Pesa il QI dei genitori (4)
“Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
Nella terza puntata abbiamo richiamato le teorie e gli studi empirici di Hanushek, il principale economista dell’istruzione. Le sue ricerche mostrano che, su scala macroeconomica, le competenze avanzate in matematica e scienze sono strettamente legate alla crescita del PIL e alla capacità innovativa di una nazione.
Tuttavia, la crescita del PIL non risulta correlata agli investimenti monetari in istruzione. Questo significa che una nazione più ricca non ha necessariamente studenti più competenti in matematica e scienze, mentre il contrario è vero: maggiori competenze sviluppate a scuola favoriscono la crescita economica.
Questo dato si collega alla nostra tesi. A livello micro, il ruolo delle condizioni socioeconomiche familiari (ovvero la ricchezza) è spesso sopravvalutato come fattore determinante negli apprendimenti degli studenti. Alcune teorie, infatti, collegano le differenze economiche tra le famiglie a possibili differenze fisiologiche e biologiche.
Alcuni studi suggeriscono che le capacità cognitive, come il quoziente intellettivo (QI), possano influire sulle disuguaglianze economiche (ChatGPT cita Heckman, J.J. & Kautz, T.; Plomin, R., Deary, I.J. & Shakeshaft, N.G.; Nisbett, R.E., et al.; Murray, C. & Herrnstein, R.; Richardson, K.).
Se fosse vero, come sostiene Lareau (2003), che le “interazioni genitoriali” incidono più del reddito, allora la correlazione tra condizioni socioeconomiche e apprendimento potrebbe essere interpretata come una correlazione spuria, cioè non indicativa di un nesso causale.
Queste interazioni genitoriali possono sostanziarsi nell’aiuto nella comprensione di argomenti trattati a scuola, il che si aggancia perfettamente alla ben nota teoria della Zona di Sviluppo Prossimale di Vygotsky).
La Zona di Sviluppo Prossimale (ZSP) rappresenta la distanza tra ciò che un bambino può fare da solo e ciò che può fare con l’aiuto di un adulto (genitore, docente o compagno di scuola) o di un pari più esperto.
Circa il “pari più esperto”, probabilmente la pedagogia italiana non ha compreso il trade off tra l’effetto benefico derivante da una classe disomogenea (in cui i più bravi aiutano i meno bravi, in una visione idilliaca un po’ irreale), e l’effetto deleterio derivante dalla teoria della ZSP vista dal punto di vista di Ausubel.
Ciò che più importa per l’apprendimento successivo è il punto a cui lo studente è arrivato, e del quale il docente deve tenere conto. Ed è ovvio che per un docente possa risultare difficile “parlare” in maniera adeguata a ZSP molto diverse. Ma su questo torneremo successivamente.
Ovviamente le interazioni genitoriali saranno tanto più efficaci quanto maggiore è il livello di istruzione ed il QI dei genitori, ma se il QI avesse una base in parte genetica, il QI genitoriale influirebbe anche, in maniera indiretta sugli apprendimenti, attraverso l’eredità genetica lasciata ai figli, il cui QI potrebbe influenzare l’apprendimento. Ecco pertanto spiegata la correlazione con le variabili socioeconomiche: questa correlazione, in realtà, rifletterebbe la correlazione del QI dei genitori con l’apprendimento, sia in termini di aiuto all’apprendimento che di eredità genetica.
È importante notare che il QI dei genitori, a differenza delle condizioni socioeconomiche, non viene generalmente inserito nei modelli di regressione sugli apprendimenti. Per cui se QI e condizioni socioeconomiche fossero correlati (come indicato dalle citazioni riportate), l’effetto del primo verrebbe “catturato” dalle seconde, nei modelli statistici. Questo contribuirebbe alla sopravvalutazione del ruolo delle condizioni socioeconomiche negli studi empirici, ruolo che invece dovrebbe essere attribuito al QI.
Per cui anche questo argomento evidenzia come coloro che sottolineano l’effetto dei fattori socioeconomici sull’apprendimento rischiano di guardare il dito che indica la luna: politiche di uguaglianza sociale, pur ovviamente del tutto giuste, non possono purtroppo redistribuire il QI genitoriale (ed eventualmente la eventuale parte genetica trasmessa ai figli).
Fatto salvo ovviamente che risultano di fondamentale importanza le politiche di obbligo scolastico ed uguale accesso alle risorse educative, specie nella prima infanzia: è ben noto che i bimbi che giungono al primo anno della primaria hanno una marcia in più se hanno avuto accesso alla scuola pre–primaria.
In sintesi: puoi redistribuire il reddito quanto vuoi, ma certe disuguaglianze di apprendimento sarebbero ineliminabili, senza un forte e impegnato ruolo della scuola.
I risultati dello studio “Dalla differenza, l’equità”
Vorremmo qui portare un contributo concreto e personale ad un aspetto spesso trascurato, forse per timore di essere tacciati di razzismo, ma siamo in buona compagnia, citiamo solo Charles Spearman, psicologo britannico, inizi XX secolo, The Abilities of Man (1927).
Ovvero che, almeno in contesti economici non particolarmente svantaggiati, potrebbe essere proprio il QI dei genitori a determinare in modo diretto (tramite fattori genetici) e indiretto (attraverso il supporto fornito ai figli nella comprensione di argomenti scolastici) le differenze di apprendimento, che comunemente vengono attribuite a fattori socioeconomici (che a loro volta potrebbero essere correlati con il QI).
A supporto di questa ipotesi, citiamo i risultati di uno studio condotto nel 2004 su circa 2mila studenti della Lombardia, una delle regioni più ricche del mondo (secondo ChatGPT, a parità di potere d’acquisto, la Lombardia si colloca subito dopo Singapore e Germania, ma prima di Svezia e Paesi Bassi).
Lo studio ha seguito questi studenti dalla prima alla seconda media e i risultati sono riportati alle pagine 104 e seguenti (di cui sono l’autore) del rapporto di ricerca Dalla differenza, l’equità. Misurare gli apprendimenti disciplinari nella scuola dell’autonomia (Cod. IReR 2003C009 ID, Progetto FSE: 154633).
Questo studio rappresenta uno dei pochi esempi di analisi sul valore aggiunto dell’apprendimento che non risulta distorta dagli errori di misura nella variabile esplicativa degli apprendimenti iniziali (ex ante). Di conseguenza, esso offre una stima più affidabile dell’effetto dei fattori socioeconomici, evitando le distorsioni evidenziate nella nostra precedente analisi della seconda puntata.
Nel dettaglio, nell’aprile 2003 circa 2mila studenti di prima media, distribuiti in 177 classi di scuole lombarde, furono sottoposti a test standardizzati di matematica (denominati test ex ante, indicati come Y(s)). Dopo 12 mesi, nell’aprile 2004, gli stessi studenti effettuarono un secondo test di matematica (test ex post, indicato come Y(t)).
I risultati furono analizzati utilizzando la metodologia di Rasch, permettendo di collocare entrambe le prove su una scala comune e progressiva. Naturalmente, i punteggi ottenuti nella seconda prova Y(t) risultarono mediamente più elevati rispetto a quelli iniziali Y(s), riflettendo l’apprendimento avvenuto nel periodo. La figura 1 seguente illustra la crescita media registrata nelle 177 classi esaminate.
Fig. 1. Crescita media delle conoscenze di matematica nelle classi della ricerca in Lombardia

Fu quindi calcolata per ogni studente la differenza Y(t) – Y(s) e questa differenza (che rappresenta il valore aggiunto nei 12 mesi) fu usata come variabile dipendente (da spiegare) in un modello di regressione molto semplice del tipo:
Y(t) – Y(s) = b0 + b1 SES + u + e
dove
SES: erano tutti i fattori socioeconomici considerati nelle indagini OCSE-PISA;
u: l’effetto della classe,
e: l’errore aleatorio.
Orbene, i risultati furono i seguenti.
1. Di tutte le variabili SES a livello familiare, considerate nelle indagini OCSE-PISA, ne risultava significativa e positivamente correlata con la crescita dell’apprendimento una sola: il fatto che il padre avesse, in ordine crescente di importanza, in base ai coefficienti stimati, un titolo di studio di scuola elementare (valore 0 del coefficiente scelto come base), di scuola media inferiore (+0.331 con errore standard 0.128), di scuola media superiore (+0.403 con errore standard 0.128), e universitario (+0.432 con errore standard 0.132).
2. La percentuale di variabilità del valore aggiunto Y(t) – Y(s) spiegata dalle classi (si noti la grande differenza di crescita tra la curva rossa e quella nera, a parità di livello di partenza: in quale classe preferireste che fosse inserito vostro figlio?), e quindi dagli insegnanti, era ben del 57%, evidenziando una volta per tutte il ruolo fondamentale dell’insegnante nella crescita dello studente.
Cosa ne pensa ChatGPT
Ora, se chiediamo a ChatGPT (in corsivo le risposte):
1. Qual è il ruolo delle condizioni economiche e del QI nel successo educativo, soprattutto per quanto riguarda il conseguimento di titoli di studio superiori, negli studi internazionali?
Sebbene le condizioni economiche spieghino leggermente di più la variabilità nel conseguimento di titoli di studio superiori, tuttavia il QI è cruciale, specialmente in contesti con poche barriere economiche.
Non credo, sinceramente, che in Lombardia, la regione più ricca d’Italia, i 2mila ragazzi e le loro famiglie, in quel periodo (tra l’altro probabilmente più ricco di adesso), siano stati sottoposti a particolari stress derivanti dalla condizione finanziaria delle famiglie.
Pertanto, esasperando i risultati di questa ricerca, possiamo affermare che l’impatto dei fattori socioeconomici sull’apprendimento di matematica (nel periodo considerato) è legato in gran parte all’intelligenza dei genitori, che non è trasferibile come i redditi, lasciando un margine di disuguaglianza che solo la scuola può compensare.
Per inciso posso personalmente testimoniare che, in prima media, se non avessi avuto l’aiuto di mia madre (che aveva appena la licenza elementare, figlia di un mezzadro toscano certamente molto intelligente) non avrei superato l’ostacolo di alcuni teoremi, la cui comprensione, da quel momento in poi, mi spianò la strada all’apprendimento della matematica: e posso garantire che la nostra famiglia, nel 1966, era piena di stress da problemi economici.
Ovviamente una rondine non fa primavera, ma lo studio lombardo, costato milioni di euro e condotto con le tecniche di misura più sofisticate, che ha convolto migliaia di studenti e centinaia di professori e classi penso che faccia primavera, e contribuisca a convalidare empiricamente tutto quanto stiamo esponendo in queste puntate e che vogliamo lasciare in eredità ai giovani ricercatori interessati ad andare contro corrente.
2. Ma questo cosa comporta nei confronti delle politiche che concentrano l’attenzione sulla relazione tra reddito e apprendimenti in Paesi relativamente ricchi?
Il fatto che, oltre una certa soglia di reddito, l’incremento non migliori significativamente l’apprendimento implica che le politiche educative nei Paesi ricchi dovrebbero concentrarsi su fattori non economici. Piuttosto che focalizzarsi solo sul reddito, le politiche dovrebbero investire in qualità educativa, e supporto socioculturale. Benessere, capitale sociale e risorse educative diventano determinanti più rilevanti per il miglioramento dell’apprendimento rispetto ad aumenti salariali, suggerendo un cambiamento di approccio per affrontare le disuguaglianze educative.
3. Le analisi statistiche nei Paesi ricchi, che enfatizzano eccessivamente la relazione tra apprendimento e condizioni socioeconomiche, stanno sbagliando target?
Le analisi non sbagliano target, poiché esiste una relazione tra apprendimento e condizioni socioeconomiche, ma nei Paesi ricchi, dove il reddito medio è già elevato, l’aumento del reddito oltre una certa soglia non porta a miglioramenti significativi nell’apprendimento [vedi Fig. 1 e Fig. 2 della terza puntata]. Qui, politiche che si concentrano solo sul reddito rischiano di trascurare aspetti fondamentali come la qualità dell’insegnamento e la personalizzazione dei percorsi educativi. È essenziale che le scuole offrano istruzione di alta qualità, con un focus su metodi didattici innovativi, l’accesso equo alle risorse educative e un sostegno psicologico adeguato.
Nei Paesi poveri, invece, un miglioramento del reddito può contribuire a garantire un accesso di base all’istruzione. Tuttavia, anche in questi contesti, non basta solo incrementare il reddito: è cruciale che si investa nella formazione degli insegnanti, nella creazione di percorsi differenziati che rispondano alle esigenze di ogni studente e nella disponibilità di risorse educative per tutti. L’educazione deve essere personalizzata per permettere a ciascun studente di sviluppare il proprio potenziale. In sintesi, mentre nei Paesi ricchi il reddito ha un impatto marginale, la qualità dell’insegnamento e la diversificazione dei percorsi educativi sono fattori determinanti.
Nei Paesi poveri, un aumento del reddito è fondamentale, ma deve essere accompagnato da un forte investimento nella qualità educativa e nella creazione di opportunità per ogni studente.
4. Riassumendo, possiamo dire che in pratica oltre una certa soglia di benessere non esiste relazione tra condizioni economiche e livelli di apprendimento?
Sì, riassumendo, possiamo dire che oltre una certa soglia di benessere, in contesti di reddito elevato, la relazione tra condizioni economiche e livelli di apprendimento diventa marginale. In questi Paesi, fattori come la qualità dell’insegnamento, l’accesso alle risorse educative e i percorsi personalizzati sono molto più determinanti per il successo educativo rispetto al reddito.
Quello che qui risulta completamente chiaro è che il tema dell’istruzione e della sua valutazione deve essere affrontato in maniera diversa nei Paesi “ricchi” rispetto a come deve, invece, essere affrontato nei Paesi “poveri”.
Ma qui sottolineiamo che il modo in cui dovrebbe essere affrontato nei Paesi ricchi, di cui parleremo più avanti, non esclude che possa essere applicato anche nei Paesi poveri, nelle nicchie tipicamente rappresentate dalle scuole private, a cui hanno accesso studenti non “stressati” dalla mancanza di risorse economiche. Questo non per creare ulteriori disuguaglianze, bensì per potenziare al massimo le possibilità di sviluppo di giovani cervelli, di cui i Paesi poveri hanno altrettanto bisogno che i Paesi ricchi, se non forse di più.
Nella prossima puntata, sgombrato il campo dal fardello delle condizioni socioeconomiche, che in realtà potrebbe nascondere un effetto del QI parentale, non redistribuibile, ci dedicheremo a capire ciò che veramente conta nel processo formativo e come questi fattori potrebbero essere combinati al meglio per favorire quella crescita delle conoscenze, specie matematiche e scientifiche, di cui Hanushek parla come il motore dello sviluppo economico.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
