Nuovo scontro sull'aborto negli USA: la Corte Suprema sospende i finanziamenti a Planned Parenthood (dando ragione alla Carolina del Sud). Il caso
ALTRA POLEMICA NEGLI STATES SUI FONDI BLOCCATI ALLE CLINICHE PRO-ABORTO: ECCO COSA È SUCCESSO
Non si contano ormai le occasioni di scontro negli States per il tema delicato e molto divisivo dell’aborto: non è da meno l’ultima polemica emersa dopo la decisione della Corte Suprema USA che ha di fatto bloccato i finanziamenti pubblici Medicaid alle cliniche abortiste di Planned Parenthood, tra le più importanti e utilizzate dalle donne americane negli Stati dove è regolato il loro esercizio sanitario.
La causa era stata intentata mesi fa dallo Stato del South Carolina che aveva in maniera indipendente deciso di tagliare i fondi alle cliniche pro-aborto in quanto quella sigla specifica non avrebbe meritato tale finanziamento, sebbene quei soldi non fossero destinati agli aborti. Come forse non è a tutti noto, in America i finanziamenti federali per l’aborto sono già proibiti e per questo la causa intentata dalla Carolina del Sud punta dritto all’organizzazione di Planned Parenthood, in passato responsabile di pratiche e regole tutt’altro che “pacifiche” tra investimenti e pratiche esercitate.

Con la decisione della Corte Suprema giunta ieri, gli Stati americani possono tagliare i fondi ai programmi di quelle cliniche pro-aborto, con risultato per 6 a 3 tra i giudici supremi (la medesima risultanza della arcinota sentenza “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization” del 2022 (quella che abolito il “diritto costituzionale federale all’aborto”, ndr). Il punto affermato prima dal South Carolina (contro cui si era appellato il tribunale federale) e poi ora anche dalla US Supreme Court è che la cittadinanza non può “forzare” lo Stato a consentire a Planned Parenthood di assistere i pazienti.
PLANNED PARENTHOOD, LA “GUERRA” DEI CONSERVATORI PRO-VITA ALLE CLINICHE CHOC
Nello specifico, con questa sentenza importante della Corte Suprema USA, d’ora in poi la legge federale prevede che chi è iscritto al programma Medicaid non può presentare reclami contro lo Stato per il mancato invio di fondi pubblici alle cliniche di Planned. La sigla pro-choice si difende dicendo che quei fondi servono anche per screening oncologici o “semplice” contraccezione, specie nello stato della Carolina del Sud dove la legge vigente sull’aborto vieta l’interruzione di gravidanza dopo le prime sei settimana dal concepimento.
Di contro, da anni le polemiche tra gli enti pro-life e Planned Parenthood vanno avanti, dopo le campagne elettorali spesso finanziate al Partito Democratico USA proprio per contrastare le posizioni dei conservatori pro-vita: nel marzo di un anno fa era poi stata la stessa sigla di cliniche abortiste ad ammettere di aver utilizzato e venduto fegati di bambini abortiti (fino a 1500 dollari si potevano pagare), con una politica di sezionatura degli organi “a fini di ricerca”.
La Corte Suprema USA, vagliato il caso e sentite le varie controparti, ha deciso di dare sostanzialmente ragione al Governatore repubblicano Henry McMaster che nel 2018 tagliò dai finanziamenti pubblici proprio Planned Parenthood in quanto sosteneva che i contribuenti americani della Carolina del Sud non dovessero sovvenzionare, costretti, chi offre servizi per l’aborto in aperta contrarietà alle proprie convinzioni. Dal lato Dem si grida invece alla messa in crisi di un diritto civile inalienabile, rimandando ancora una volta l’origine dello scontro sulla sentenza del 2022 della Corte contro la Roe vs Wade, che evidentemente dopo tre anni ancora produce divisioni, polemiche e conseguenze.
