L’ex capo del Dis Elisabetta Belloni lascia anche l’Unione Europea in una fase geopolitica critica e torna ad essere “riserva della Repubblica”
La rottura fra Elisabetta Belloni e la presidenza della Commissione Ue – di cui era Chief Diplomatic Adviser – matura solo sei mesi dopo un passaggio analogo con la presidenza del Consiglio in Italia.
A cavallo dell’ultimo Capodanno esplode la crisi legata all’arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala. Il caso è risolto personalmente dalla premier Giorgia Meloni con un blitz negli Usa, presso il presidente eletto Donald Trump. I media riferiscono di malumori della premier per presunte lacune nell’attività preventiva dell’intelligence italiana, allora guidata da Belloni a Palazzo Chigi come direttore del Dis.
Ma accennano anche a dissensi sull’opportunità – infine seguita dalla premier – di avviare trattative triangolari con l’Iran mediate dalla nuova amministrazione repubblicana di Washington, quando alla Casa Bianca è ancora in carica il dem Joe Biden e in Medio Oriente Israele appare in escalation diretta contro Teheran.
Sta di fatto che Sala viene liberata rapidamente e pochi giorni dopo viene annunciata la conclusione del mandato di Belloni al Dis, nonché – contemporaneamente – la sua chiamata a Bruxelles a fianco di Ursula von der Leyen.
Il passaggio viene innestato dai media nella buona relazione istituzionale, politica e personale fra Meloni (comunque desiderosa di procedere a riassetto nei servizi italiani) e von der Leyen; e nel “valore diplomatico” accumulato da Belloni come ufficiale di collegamento fra le intelligence di Italia, Europa e Usa nei primi tre anni della crisi russo-ucraina e dopo lo scoppio della guerra di Gaza.
All’incarico europeo Belloni era in ogni caso approdata attraverso un cursus tecnocratico interno molto denso. Diplomatica di carriera, era infine ascesa ai vertici della Farnesina come segretario generale, designata nel 2016 dal governo dem di Matteo Renzi, con Sergio Mattarella da un anno al Quirinale. Al momento della nomina, Belloni era capo di gabinetto del ministro Paolo Gentiloni.
Belloni stessa rimane nella stanza dei bottoni della Farnesina anche dopo il voto 2018, con entrambi i governi Conte: prima con il tecnico Enzo Moavero Milanesi (voluto dal Quirinale nell’esecutivo M5s-Lega) poi con il leader pentastellato Luigi di Maio, dopo il ribaltone del 2019 e il ritorno del Pd in maggioranza.
Quando Mario Draghi diviene capo di un esecutivo istituzionale, è a Belloni che pensa subito per un delicato avvicendamento maturo al vertice del Dis. Nel maggio 2021, Biden è da poco tornato alla Casa Bianca e con la ritirata Usa dall’Afghanistan ha inizio la lunga crisi geopolitica tuttora in corso. L’orientamento del governo Draghi è netto nel sostegno all’Ucraina a fianco degli altri Paesi Ue nella Nato a traino Usa (dem). Il ruolo di Belloni – dietro le quinte – cresce rapidamente di centralità.
Sorprende quindi fino a un certo punto che, pochi mesi dopo e pochi giorni prima dell’attacco russo a Kiev, il nome della diplomatica baleni per mezza giornata durante il voto delle Camere riunite per il rinnovo della Presidenza della Repubblica. Ad essa, nel gennaio 2022, è inizialmente candidato lo stesso Draghi, ma la carica viene infine riassegnata a Mattarella. Non prima, tuttavia, che Belloni – potenziale prima donna al Quirinale, ancorché priva di esperienze politiche – diventi la carta di un possibile compromesso, diverso sia dal consolidamento istituzionale di Draghi sia dalla conferma del presidente dem. Una soluzione-Belloni, certamente, sarebbe stata tutt’altro che sgradita all’Europa di von der Leyen 1 e al deep state Usa, in una fase geopolitica di crescente complessità.
Quando Meloni diventa premier dopo il successo elettorale del settembre 2022 – con Biden in pieno mandato – mantiene al Dis Belloni, confermata fra l’altro nello status di prima donna alla guida. La relazione fila oggettivamente liscia per due anni: fino alla doppia rottura del 2025.
Questa avviene dopo la dura sconfitta elettorale di Biden e della sua politica estera; dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca e il terremoto a 360 gradi in tutte le relazioni internazionali. Dopo un’estate critica – l’anno scorso – fra l’Italia di Meloni, la Francia di Emmanuel Macron e la Germania del socialdemocratico Olaf Scholz. E dopo la contrastata ascesa ad Alta commissaria a Bruxelles dell’ex premier estone Kaja Kallas, liberale e “falca” filo-Usa e antirussa; mentre alla Nato approda intanto il liberale olandese Mark Rutte, subito convertito al trumpismo.
Belloni lascia prima Palazzo Chigi e poi Palais Berlaymont anche dopo l’escalation finale di Bibi Netanyahu, alleato di ferro di Trump, in una fase di tensione crescente fra Israele e la Ue, che sta minacciando Gerusalemme di sanzioni soprattutto su pressione delle forze di sinistra democratica o antagonista in tutti i Ventisette.
Non certo da ultimo: l’addio della diplomatica italiana viene annunciato due giorni prima della scadenza posta da Trump alla Ue nella trattativa sui dazi, e quando l’intera “amministrazione von der Leyen” sembra avviata – sui dazi, guerre e politiche finanziarie e industriali – a una verifica senza precedenti nei pesi politici della maggioranza all’Europarlamento e nelle relazioni fra le grandi cancellerie europee, nessuna delle quali è più presidiata da forze socialdemocratiche.
Belloni viene intanto già riclassificata da alcuni commentatori come “riserva della Repubblica”. Il richiamo è aperto alle future presidenziali italiane: al momento previste solo nel gennaio 2029, dopo un nuovo voto politico. Un orizzonte non vicino, ma fin d’ora caratterizzato di una svolta più che probabile: la conclusione di un ventennio abbondante di presidenza dem.
Nel frattempo non manca chi individua in Belloni una possibile “ruota di scorta” per la stessa Meloni in caso di crisi di governo non seguita da elezioni anticipate ma dallo stesso ribaltone istituzionale costruito nel 2019 sotto gli occhi di Mattarella, e in parte replicato due anni dopo con Draghi.
Gli annali europei hanno intanto preso nota che l’Olanda ha investito come premier tecnico l’ex capo dell’intelligence Dick Schoof. Oggi dimissionario dopo aver tenuto assieme per 18 mesi, come garante della Corona, l’estrema destra di Geert Wilders, vincitore delle ultime elezioni, con alcuni partiti del centro moderato.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
