Il 30% di dazi imposto dagli USA alla UE sono un segno di debolezza. Bruxelles convincerà Trump se agirà sugli interessi delle Big Tech americane
I dazi imposti alla UE non sono un segnale di forza, ma di debolezza. E Trump ha paura che i mercati rispondano negativamente a questa ondata di aumenti delle tariffe. L’Europa, quindi, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, di fronte al 30% imposto dall’amministrazione americana dal 1° agosto, non deve scomporsi, ma agire con gli strumenti che ha.
Per esempio, introdurre a sua volta un balzello del 30% per i servizi delle Big Tech americane. Una decisione del genere porterebbe Bezos e Zuckerberg a fare pressioni sulla Casa Bianca per trovare una soluzione. E comunque, sul lungo periodo, la UE deve capire che il legame con gli americani non sarà più quello di prima; per questo dovrà cercare di essere sempre meno dipendente, anche dal punto di vista tecnologico, dall’America.
Prima si parlava del 50%, poi del 20%, si sperava il 10% ed è arrivato il 30%. Cosa ha in mente veramente Trump e quale scenario ci prospetta la sua decisione?
Innanzitutto, la lettera inviata alla UE è scritta con lo stile di un venditore di tappeti di provincia: “Benvenuti, se volete partecipare alla meravigliosa economia americana, vi diamo solo il 30% dei dazi”. Irricevibile. Detto questo, dobbiamo tenere i nervi saldi, agendo conseguentemente. Questa decisione è un segno di difficoltà di Trump: ha paura che i mercati gli rimbalzino contro, come è successo nel Liberation Day. Per questo ha mandato le lettere sui dazi questa settimana, ma rinviando l’inizio al 1° agosto. Anche se poi non è detto che quella sia la vera scadenza.
La “sparata” del 30% fa parte della solita tecnica che spinge a chiedere molto per poi far finta di concedere una percentuale più bassa, che invece è il reale obiettivo?
Trump applica un effetto negoziale che si chiama effetto esca. L’obiettivo da raggiungere è il 10-15% di tassi, ma si parte da una quota molto più alta per poi rendere accettabile, psicologicamente, quello a cui si punta. Lo fanno i negozi quando vogliono far accettare un prezzo di 2.000 euro dicendo che al prezzo originario di 3.000 viene applicato uno sconto di 1.000.
L’Europa come deve reagire?
Deve rendersi conto che, paradossalmente, ha molto di più da perdere Trump. Certo, per la UE quello americano è un mercato importante, ma il presidente USA si sta inimicando il resto del mondo e dovrà fare i conti con effetti economici piuttosto negativi, mentre l’Europa può cercare di orientare parte della produzione su altri mercati.
In secondo luogo, Bruxelles ha una leva importante da utilizzare, che è quella delle Big Tech. L’esportazione di servizi americani verso l’Europa vale 430 miliardi di dollari. Se noi cominciassimo a tassarli simmetricamente, Bezos e Zuckerberg andrebbero immediatamente alla Casa Bianca a dire che così non va. Inoltre, l’Europa non è molto unita, ma rappresenta un mercato molto grande.
A lungo andare abbiamo diverse armi da giocare, ma da qui al 1° agosto quali sono quelle da usare subito?
Credo che un atteggiamento di accondiscendenza nei confronti degli USA sarebbe deleterio e foriero di nuove richieste il giorno dopo: Trump non capisce altro linguaggio che quello della forza; per convincerlo bisogna puntare su qualcosa che lo danneggia. I mercati finanziari, per lui, sono importanti, il Dow Jones è l’INPS americana: lì confluiscono i risparmi della gente e si pagano le pensioni. Se risentono della situazione, per il presidente USA è un buon motivo per recedere. D’altra parte, la comunità finanziaria ha già reagito spostando capitali dagli Stati Uniti.
Puntare sulle Big Tech significa rispondere ai dazi americani mettendo dazi sui servizi che queste aziende forniscono?
Se gli USA applicano il 30% sui prodotti europei, noi mettiamo il 30% sui servizi Google. Per le società americane del settore, l’impatto sarebbe devastante. D’altra parte, i mercati finanziari, nonostante le guerre, sono al loro massimo; credo che un loro calo sarebbe accettabile in nome di un obiettivo più grande.
Molti operatori lamentano soprattutto l’incertezza prodotta dalle oscillazioni della politica trumpiana. Visto il comportamento della nuova amministrazione USA, l’incertezza dovremo metterla in conto finché ci sarà Trump?
Sì, basta guardare cosa ha fatto questa settimana: ha messo il 50% di dazi sul rame, quando gli Stati Uniti, fatto cento il loro fabbisogno, importano il 48%. Vuol dire che Trump ha penalizzato il suo sistema industriale, quando invece l’obiettivo è la reindustrializzare gli Stati Uniti. Ha messo dazi sul Kazakistan, che ha dazi zero in entrata ed è un Paese in cui gli Stati Uniti esportano. L’incertezza è figlia della confusione che hanno in testa Trump e il suo team.
Se anche si dovesse raggiungere un accordo entro luglio, l’atteggiamento della UE nei confronti degli USA cambierà? Ci avvicineremo di più alla Cina?
Trump o non Trump, siamo in una nuova fase della storia. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa ha avuto negli Stati Uniti un punto di riferimento geopolitico, tecnologico e di mercato. Adesso entriamo in una fase nuova nella quale gli USA non spariranno, ma cambieranno diverse cose: la NATO, probabilmente, diventerà molto più europea, anzi non è detto che rimanga; gli Stati Uniti non sono più così interessati all’Europa. Inoltre, anche Biden, al netto dei dazi, aveva una posizione quasi da America First: non siamo più, insomma, in una fase di mercato americano così aperto. In una situazione come questa, l’Europa deve porsi una domanda enorme, deve riflettere su quanto comincia a essere pericoloso appoggiarsi alla tecnologia americana.
Dovremmo svilupparne una nostra?
Direi di sì, anche se non è facile. Anzi, questo è un elemento di oggettiva difficoltà.
Quanto tempo ci vuole perché l’economia americana si accorga degli errori che ha fatto Trump e degli effetti delle sue decisioni?
Gli effetti si stanno già vedendo: nel primo semestre 2025 gli USA hanno fatto registrare un meno 0,5, rispetto al 4% del passato recente. Diciamo che, però, l’autunno o l’inverno potrebbero essere il punto di non ritorno. Anche perché gli stessi mercati finanziari non danno più peso alle parole di Trump. Inutile andargli dietro: la mattina dice una cosa, il pomeriggio un’altra. E c’è un altro elemento drammatico: la perdita di credibilità degli USA. Come fa un’impresa a portare miliardi di euro di investimenti in un Paese in cui, magari, la mattina le viene detto che lo stabilimento che voleva realizzare non va più bene?
(Paolo Rossetti)
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