L’esame di Stato o “maturità” deve certificare. Chi gli rimprovera di essere burocratico e di violare il “valore” dello studente come persona sbaglia strada
Protesta effettuata. Effetto ottenuto. E ora che si fa? La protesta di alcuni studenti veneti di non sostenere il colloquio orale all’esame di Stato o di maturità ha fatto scalpore ed ha ottenuto un’attenzione mediatica notevole. Anche lo scorso anno altri studenti avevano fatto il medesimo gesto.
Se ne continua a parlare: c’è chi lo ha definito “disobbedienza civile” o “denuncia del sistema scuola” fino a “obiezione di coscienza”; così è intervenuto anche il ministro Valditara con la classica minaccia-ricatto che “chi boicotta sarà bocciato”.
Personalmente il gesto di stare muti di fronte ai docenti lo trovo irrispettoso del lavoro e del valore altrui. Quello dei docenti e quello dei compagni. Ma i motivi o le giustificazioni che del loro comportamento hanno dato questi ragazzi vanno ascoltate: hanno citato soprattutto la mancanza di ascolto da parte dei docenti e l’eccessiva competitività tra compagni dovuta ai voti.
Di certo se l’esame di Stato rilascia il titolo di studio, non si può chiedere ad un “ente certificatore” di essere umano; se i voti danno una classifica non si può chiedere di non classificare. Da questo punto di vista i voti e l’ente certificatore fanno il loro dovere, raggiungono il loro scopo. Il sistema è corretto e coerente e la disobbedienza è contro il sistema.
Ma se l’ente certificatore si chiama “scuola” e i voti si chiamano “valutazioni”, allora va allargato lo sguardo e si può intuire che lo scopo della scuola non sia solo certificare le competenze e lo scopo delle valutazioni non sia quello di stilare una classifica, così i ragazzi che si sono sottratti al colloquio orale potrebbero indicarci questa apertura di sguardo.
Dunque? Credo che ci sia qualcosa in più da scoprire. L’esame di Stato non racconta quanto apprendimento, quanto dialogo, quante fatiche e riprese, quanta vita c’è stata negli anni di scuola, quanti incontri e quante svolte, né mai potrà farlo; i voti sicuramente non descrivono il valore di uno studente, la sua crescita umana, le lacune colmate, le avversità affrontate e le sue soddisfazioni, né mai potranno farlo.
Fa bene allora chi affronta queste circostanze per quel che sono: un passaggio importante, ma non fondamentale, una prova per testare alcune conoscenze e anche magari per mostrare quel che si è costruito a livello umano e scolastico, raccontando un po’ quel che si è.
Poi i numeri restano numeri, e i diplomi pezzi di carta, ma io resto io anche stando di fronte ai docenti nel colloquio d’esame, e, vivendolo, posso imparare ancora qualcosa, come ad esempio superare l’ansia, sapermi presentare, e così via.
Non chiediamo però all’esame e ai voti di dire ciò che non possono, e mettiamoci dentro cuore, anima e cervello in un’altra avventura: cercare e trovare chi e che cosa ci restituisce e testimonia il vero valore dei nostri studenti. A scuola e dovunque.
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