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Home » Esteri » Usa » I PRIMI 6 MESI DI TRUMP/ “Usa spaccati, Donald fa felice la Borsa ma dimentica il carrello della spesa”

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I PRIMI 6 MESI DI TRUMP/ “Usa spaccati, Donald fa felice la Borsa ma dimentica il carrello della spesa”

Int. Rita Lofano
Pubblicato 22 Luglio 2025
Trump, Usa

Donald Trump, Presidente USA alla Casa Bianca (ANSA-EPA 2025)

Primo semestre: Trump si autocelebra. L’economia USA ha dati positivi, ma la gente vorrebbe sentir parlare più di carrello della spesa che di dazi

La popolarità di Trump è in ribasso, ma i dem stanno molto peggio e quindi il presidente americano rimane il leader più popolare d’America. La fiducia della gente, osserva Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, è diminuita per i tagli allo stato sociale, a Medicaid, ma anche per l’incertezza che generano i dazi; però, finora, i dati macroeconomici degli USA vanno bene. I primi sei mesi di mandato, che Trump ha celebrato come una sorta di momento d’oro per gli Stati Uniti, lasciano aperte, comunque, diverse questioni: le guerre che non è riuscito a chiudere e, appunto, la questione delle tariffe commerciali.


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Il caso Epstein, invece, sul quale molti, anche del fronte MAGA, lo stanno pressando, non corre molti rischi: anche se ne uscisse danneggiato, la sua storia dimostra che episodi del genere non scalfiscono l’appoggio del suo elettorato.

Trump si è autocelebrato dicendo che in questi primi sei mesi ha fatto un gran lavoro, tanto che gli USA sono il Paese più popolare al mondo. I sondaggi, però, dicono che la fiducia nei suoi confronti è diminuita. Qual è il bilancio di questo primo semestre?


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L’America sta bene, anche se Trump dà l’impressione di occuparsi più di dazi, di commercio, quindi di politica economica e internazionale, che del carrello della spesa. Tra la gente c’è questo tipo di percezione. Resta un’America spaccata: un sondaggio della CNN dice che secondo il 53% degli americani il presidente non sta facendo un gran lavoro.

Però, per esempio, solo il 28% degli statunitensi vede con favore il Partito Democratico. E questo è l’asso nella manica di Trump. Succede un po’ come in Italia, non c’è un leader alternativo credibile. I democratici sono ritenuti lontani dalla gente.


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Quindi Trump non brilla per popolarità, ma c’è chi sta peggio di lui?

È comunque il leader più popolare al momento. Il caso Epstein gli sta dando un bel po’ di fastidio, perché l’ala destra del Partito Repubblicano spinge perché vengano divulgati i file. Trump, però, è già stato coinvolto in più scandali per situazioni deprecabili dal punto di vista umano: questa vicenda può creargli un danno, ma non intaccare la sua presidenza. Semmai possono contare di più i dazi e il senso di incertezza che creano.

Il presidente USA attacca Powell perché vuole una diminuzione dei tassi finalizzata ad abbassare le spese per interessi: il suo problema sono i bond, non tanto l’inflazione, che comunque si muove sui minimi dall’era pre-Covid. Guarda alla Borsa, e da questo punto di vista Nasdaq e Standard & Poor’s 500 bruciano un record dopo l’altro. Questa è la settimana delle trimestrali delle Big Tech, che andranno sicuramente benissimo, trainate dagli investimenti dell’intelligenza artificiale. Ma lo stesso vale per i titoli finanziari e le banche.

La sua politica sui dazi, però, è un po’ ondivaga: che risultati sta dando?

Trump sta incassando molti soldi con i dazi, anche se creano incertezza: le aziende che devono investire non sanno cosa fare. Con questo strumento, tuttavia, si sta ripagando l’aumento del deficit stimato con il Big Beautiful Bill. Si punta a 300 miliardi l’anno, proiettati sui dieci anni sono 3.000 miliardi: esattamente la stima del deficit sul lungo periodo generata dal Big Beautiful Bill. D’altra parte, il debito è un problema di lunga data, non l’ha creato il nuovo presidente americano.

Gli analisti, però, dicono che prima o poi l’inflazione si farà sentire e che il dato complessivo dell’economia USA nei primi mesi dell’anno parla di un meno 0,5% contro il +4% del periodo precedente. Dove sta la verità?

L’inflazione è perfettamente sotto controllo, l’economia va bene, il dollaro debole aiuta perché fa scendere i costi, anche il prezzo del petrolio è basso. Ripeto, il vero peso dei dazi è l’incertezza, anche perché Trump un giorno fissa una scadenza e il giorno dopo la rinvia. Un’azienda che deve fare degli investimenti non sa cosa succederà. Penso, comunque, che a Trump qualche problema in più lo stia creando lo scenario internazionale: Israele va per conto proprio, arrivando anche ad attaccare le chiese cattoliche, e Putin in Ucraina non ha nessuna intenzione di arrivare a una tregua.

Che cosa ha ridotto allora i sondaggi nei suoi confronti? Perché la gente ha meno fiducia in lui rispetto a prima?

Secondo me, hanno inciso i tagli al Medicaid, che scontentano tutta una popolazione di reddito medio-basso. Trump sta tentando di smantellare l’Obamacare, misura simbolo della presidenza Obama e molto popolare. I tagli ai ceti meno abbienti pesano, tant’è che anche una parte dei repubblicani, che poi rispondono direttamente ai loro elettori, non è che fosse entusiasta di questa scelta.

Non per niente c’è stata una retromarcia sui tagli da 6 miliardi di dollari per le attività del doposcuola, per gli sport nelle scuole pubbliche. Alla gente il presidente dà l’impressione di occuparsi degli altri Paesi e non della spesa delle persone. Mamdani, il candidato dem che ha vinto le primarie per New York, lo ha fatto grazie a una campagna estremamente populista: autobus gratis per tutti, salario minimo a 30 dollari l’ora. La gente vuole sentirsi dire questo, i dazi sono qualcosa di lontano.

Quali saranno da ora in poi i temi caldi, le priorità per Trump?

Adesso sono sicuramente le elezioni di midterm e portare a casa una tregua a Gaza e in Ucraina, ma anche in Siria. Vuole una pacificazione dei rapporti con Israele attraverso lo strumento degli Accordi di Abramo. Il Medio Oriente, tuttavia, è ben lontano dall’essere una partita chiusa. I due grandi temi restano per lui l’economia e la guerra, che per gli americani pesa in termini di spesa. Inoltre, sta ridisegnando l’amministrazione, visto che ha chiesto al leader del Senato di non andare in pausa per finalizzare tutta una serie di nomine.

Resta aperta la questione dei rapporti con la UE: come andrà a finire la trattativa sui dazi?

Credo che l’Europa abbia avuto un approccio giusto, cercando di trattare. Il problema è che magari Sefcovic, il commissario europeo che tratta, non viene percepito come una figura forte; però è giusto anche trattare. Già è stata una fatica convincere Trump a considerare come interlocutrice la Von der Leyen: se dipendesse da lui, parlerebbe con i singoli leader.

Il presidente vuole un riequilibrio delle relazioni commerciali e l’Europa dovrà trovare un’intesa; poi è chiaro che, se per caso dovessero scattare i dazi al 30%, anche Bruxelles dovrà rispondere. Penso che la strategia giusta sia quella del Regno Unito: hanno chiuso al 10%, esentando il petrolio.

(Paolo Rossetti)

 

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Tags: Donald TrumpBarack Obama

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