L’appello dei 28 Paesi per la pace a Gaza non spaccherà l’Occidente: dagli USA pressioni su Israele. Ma per la pace deve cadere il governo
Non ci sarà rottura tra gli USA e gli altri Paesi occidentali dopo il documento firmato da 28 governi per chiedere la fine immediata della guerra a Gaza. Ma questa presa di posizione rappresenta una svolta nella crisi mediorientale. Le pressioni su Israele, osserva Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo “Cosmo”, aumenteranno, non solo quelle europee e soprattutto quelle americane.
E se a questo si aggiungono le divergenze interne a Israele sul futuro di Gaza, si può capire come Netanyahu verrà attaccato su più fronti. La pace, però, non sembra proprio un obiettivo dell’attuale governo israeliano.
E probabilmente, per ottenerla, gli americani dovranno spingere per avere un altro esecutivo. Intanto cento ong parlano di carestia di massa, anche se Israele ne attribuisce la colpa ad Hamas. Mentre sono diventati un migliaio i morti uccisi in occasione della distribuzione dei viveri.
Il documento per la fine immediata della guerra a Gaza firmato da 28 Paesi (Italia compresa), non solo europei, sta spaccando l’Occidente e creando una frattura con gli americani?
Mi verrebbe da fare una battuta, anche se non è il momento giusto per farle: “Non toccate il Vaticano”. L’episodio che ha accelerato questa presa di posizione è stato l’attacco alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City. Questo evento, per i Paesi cattolici, ma in generale per quelli europei e occidentali, potrebbe aver segnato uno spartiacque importante. Anche se, naturalmente, bisogna tenere conto della situazione umanitaria a Gaza, che ormai ha superato ogni livello etico e morale, indipendentemente dalle posizioni politiche di chi supporta o no Israele. Questa escalation è probabile che non trovi un sostegno nella nuova amministrazione americana: potrebbe rappresentare un elemento di imbarazzo con i Paesi arabi, con i quali Trump vuole procedere sulla strada degli Accordi di Abramo.
Israele si sta mettendo di traverso?
Gli attacchi israeliani in Siria contro gli edifici del governo e il ministero della difesa vicino al palazzo presidenziale di Damasco hanno colto di sorpresa gli Stati Uniti, che con la loro diplomazia stanno cercando di trovare un equilibrio nel nuovo Medio Oriente. Proprio in queste ore si è recato a Beirut l’ambasciatore statunitense in Turchia, nonché inviato speciale americano per il dossier siriano e libanese, Tom Barrack, lui stesso di origine libanese. In questo contesto, la posizione di Netanyahu potrebbe cominciare a scricchiolare. Anche agli occhi dell’opinione pubblica interna israeliana comincia a essere palese che l’obiettivo perseguito non è più tanto la liberazione degli ostaggi, ma mettere Netanyahu nelle condizioni di andare alle elezioni anticipate, di essere rieletto e di non passare guai, anche giudiziari.
L’ambasciatore USA in Israele Huckabee ha definito disgustosa la presa di posizione dei 28 Paesi che chiedono la fine della guerra a Gaza. Sono solo parole o significa qualcosa nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa in particolare?
Non sarebbe nell’interesse degli Stati Uniti generare una frattura con il blocco europeo. La prima proiezione nel Mediterraneo e quindi in Medio Oriente per gli USA sono comunque i Paesi europei. Queste dichiarazioni sono campanelli d’allarme, ma le diplomazie occidentali dovrebbero cercare di lavorare all’unisono: sono comunque un messaggio confortante e pubblico nei confronti di Israele che conferma il supporto morale e politico da parte USA. A porte chiuse, però, ciò che emerge è l’irritazione americana, le pressioni politiche nei confronti del governo Netanyahu per arrivare a chiudere diverse partite: il cessate il fuoco a Gaza, ma anche una stabilizzazione in Siria e una stabilità in Libano.
La dichiarazione dei 28 non romperà, quindi, il fronte occidentale, ma rappresenta comunque una svolta nell’atteggiamento della comunità internazionale?
Sicuramente le pressioni sono destinate ad aumentare, ma trovano una sponda nelle pressioni interne a Israele. Il ministro della sicurezza nazionale israeliano, Ben Gvir, ha mosso delle critiche nei confronti del capo di stato maggiore dell’IDF, delle forze armate israeliane, che si era espresso positivamente nei confronti delle bozze di accordo per la tregua. Questo indica, non dico una spaccatura, ma almeno divergenze nell’establishment israeliano. Divergenze che i Paesi europei cercheranno di sfruttare per aumentare le pressioni a fronte di una situazione umanitaria che, come ha dichiarato il cardinale Pizzaballa, è andata ben oltre ogni confine di natura etica e morale.
Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha proposto anche operazioni militari più intense a Gaza per occupare il territorio. Smotrich, l’altro leader ultranazionalista, ha parlato con lui perché vuole che Gaza diventi una parte inseparabile di Israele. Come si può arrivare alla pace in questo modo?
Qui sta il cuore delle divergenze tra le parti. L’IDF esercita un controllo quasi totale sulla Striscia, anche se affermare che il territorio sarà annesso allo Stato di Israele è prematuro. Pure i Paesi arabi, compresi Egitto e Qatar, che hanno un ruolo nelle trattative per la tregua, vedrebbero di buon occhio Gaza senza Hamas, ma non fino al punto da accettare un’occupazione tout court di Israele.
Che soluzione potrebbero accettare i Paesi arabi?
Formalmente non andranno mai a sponsorizzare un accordo in cui si ufficializza un’occupazione israeliana, cercheranno di utilizzare altre formule accettando un controllo indiretto, attraverso organizzazioni internazionali. È quello di cui si sta parlando ora: in termini pratici significa che si lavora per una estromissione completa di Hamas, facendo giocare un ruolo all’ANP, o a un’autorità palestinese che comunque dialoghi quotidianamente con gli israeliani.
Viste le resistenze a ogni accordo da parte dei partiti nazionalisti e ultrareligiosi che sostengono Netanyahu, alla pace si potrà arrivare solo con un altro governo?
Questo è un grande punto interrogativo. Difficile pensare che con questo governo si possa arrivare a una pace completa: non è detto che sia un obiettivo politico di Netanyahu, che vuole essere rieletto o comunque mantenere il potere ed evitare conseguenze sul piano personale e internazionale. Per questo non sarei molto ottimista sulla pace, ma qui la partita la giocheranno gli americani. Con questo governo sarà difficile raggiungerla, se gli USA vogliono arrivare fino in fondo spingeranno per cambiarlo.
(Paolo Rossetti)
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