Non è certo un bel momento per il Pd sul fronte giudiziario. E c'è chi ricorda un documento del 2019 sulla separazione delle carriere
È davvero rovente l’estate per il Pd di Elly Schlein, non solo dal punto di vista climatico, ma anche sul fronte politico, con il partito colpito da una serie di indagini a carico di amministratori locali, che mettono in grande imbarazzo la presunta superiorità morale, che qualcuno a sinistra ha ancora il coraggio di vantare.
Prima Milano, con lo scandalo che ha costretto alle dimissioni l’assessore alla rigenerazione urbana (la vecchia cara delega all’urbanistica, ma la mania alle idee della sostenibilità progressista di Sala ha preferito declinare il tutto con una terminologia vagamente woke) Giancarlo Tancredi. Poi Torino con il deputato del Pd Mauro Laus (sconosciuto ai più a livello nazionale, ma assai potente a livello locale) accusato di utilizzare fondi pubblici per stipendiare figli, moglie e cognata. E ora ecco l’avviso di garanzia per il suo candidato nelle Marche, Matteo Ricci.
Secondo l’accusa, il Comune di Pesaro avrebbe erogato in modo improprio centinaia di migliaia di euro di fondi a due associazioni no profit affidandogli la realizzazione di diverse opere. Tutte accuse da dimostrare, essendo ancora alla fase di indagine, ma certamente il colpo per il Pd è stato duro e mette a rischio la stessa tenuta della coalizione, soprattutto per la presenza al suo interno di una componente, come quella dei cinque stelle, che sulla legalità e sul rispetto delle regole non fa sconti a nessuno.
Si vedrà come evolveranno le cose, soprattutto dopo l’audizione presso i magistrati di Ricci, prevista per mercoledì 30. Così come si vedrà quale sarà l’evoluzione delle inchieste a Milano e Torino. Ma certamente le inchieste giudiziarie che stanno investendo il Pd in queste settimane pongono un serio problema all’interno del partito che da sempre fa della questione morale un elemento fondante della sua condotta politica.
La stessa Segretaria appena eletta aveva dichiarato di voler fare la guerra ai cacicchi e capibastone presenti nel partito, che in questi anni hanno contribuito a creare quel substrato di intrecci e rapporti ambigui tra politica e affari, i cui risvolti si stanno evidenziando in maniera clamorosa, nei casi recentemente attenzionati dalla magistratura.
Ma la questione va forse considerata non solo sul piano strettamente elettorale e di alleanze, ma analizzato più a fondo, partendo dal fatto che il Partito democratico, fin dai tempi di Tangentopoli, ha sempre avuto una certa ambiguità nei confronti della magistratura, le cui indagini, spesso sono state cavalcate a fini politici.
Diceva Giovanni Falcone, già alla fine degli anni ’80, che “la magistratura ha sempre rivendicato la propria indipendenza, lasciandosi in realtà troppo spesso irretire surrettiziamente dalle lusinghe del potere politico”. La frase sembra perfettamente in linea con quanto è accaduto nel complicato rapporto tra magistratura, o almeno una parte di essa, e la politica.
È curiosa, a tal proposito, la coincidenza temporale tra le inchieste che stanno coinvolgendo il Partito democratico italiano e quelle che stanno letteralmente terremotando il Psoe spagnolo del premier Pedro Sanchez, ancora pochi giorni fa citato come modello da seguire dalla Segretaria del Pd Elly Schlein.
Anche in Spagna spesso il Psoe ha cavalcato le indagini della magistratura a fini politici. Basti pensare proprio a come Pedro Sanchez riuscì a farsi approvare una mozione di censura contro l’allora Premier Mariano Rajoy, proprio a causa di un’inchiesta che aveva interessato alcuni ex esponenti di spicco del Partito popolare (corsi e ricorsi storici si potrebbe dire).
Ed è singolare notare come Sanchez adesso accusi la magistratura di voler orchestrare una macchinazione per colpire lui e il suo Governo. Si cita la Spagna anche perché li vige la separazione delle carriere, tema che adesso sta infuocando la polemica politica in Italia, a causa della riforma della giustizia del centrodestra che ha tra i suoi principi proprio quello di separare le carriere tra i magistrati giudicanti e quelli referenti. La sinistra pensa che questo leverebbe autonomia e imparzialità alla magistratura, ma proprio quello che sta accadendo in Spagna dimostrerebbe l’esatto opposto.
Anche perché e anche questo è un punto che mostra la perenne ambiguità che pervade il tema giustizia all’interno del più grande partito della sinistra italiano, l’allora Segretario dei democratici Maurizio Martina, nel 2019 presentò una mozione in cui veniva sancito testualmente: “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”.
Tra i firmatari della stessa figuravano Alessandro Alfieri (attuale deputato del Pd), Mauro Berruto (attuale deputato del Pd), Graziano Delrio (attuale deputato del Pd), Vincenzo De Luca (attuale Governatore della Campania), Andrea De Maria (attuale deputato del Pd), Lorenzo Guerini (attuale deputato del Pd), Simona Malpezzi (attuale deputata del Pd), Matteo Mauri (attuale deputato del Pd), Matteo Orfini (attuale deputato del Pd), Valeria Valente (attuale senatrice del Pd), Dario Parrini (attuale senatore del Pd), Francesco Verducci (attuale senatore del Pd) e Debora Serracchiani (attuale deputata del Pd, responsabile Giustizia della segreteria). Evviva la coerenza.
Tornando ai giorni nostri e alle pesanti inchieste che stanno interessando il partito della Schlein, qualche maligno ha anche fatto osservare come questa solerzia dei magistrati possa avere qualche connessione proprio con la riforma della giustizia appena licenziata in Senato in prima lettura.
Forse un avvertimento, chissà, ma anche senza arrivare a questi estremi è indubbio che la questione del rapporto tra politica e giustizia è tema da troppo tempo irrisolto, e occorre dire che, pur perfettibile, la riforma del Governo cerca almeno di intervenire proprio per cercare di eliminare il più possibile quel sottile sospetto che alimenta talvolta certe inchieste (che spesso si chiudono con un nulla di fatto), che toccano i politici (spesso in momenti determinanti come elezioni o provvedimenti da votare).
Le inchieste di oggi che toccano il Pd mostrano due cose. La prima è che il partito non è affatto immune dalle inchieste, come invece i suoi membri un po’ pretestuosamente pensano di essere, fin dai tempi di Tangentopoli.
E la seconda è che fino a che non si riforma un sistema che si basa su un rapporto troppo stretto tra le due parti nel processo e non si mette mano agli organi interni del governo giudiziario, come vuol far fare la riforma del Governo, per esempio con il doppio Csm, eletto a sorteggio, non si eliminerà del tutto quel subdolo sospetto che la giustizia, in taluni casi, non segua fino in fondo il principio dell’equità e della assoluta terzietà nel giudizio.
Giorgia Meloni, ha detto che occorre riformare la giustizia per eliminare le storture. E tra queste non si può non citare il rapporto in certi casi troppo stretto e attiguo tra alcune frange di magistrati e la politica.
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