La storia di Laura Santi merita rispetto, ma il Concilio Vaticano II e l’esperienza con i malati insegnano che le persone chiedono cura e vicinanza
Dopo la decisione della giornalista Laura Santi di porre fine alla sua esistenza qualcuno ha rievocato il gesto di don Marco che si è tolto la vita poche settimane fa. Due storie tristi, diverse nelle cause e nelle modalità con cui si sono consumate, che meritano rispetto e meditazione. Eppure, alcuni, sull’onda emotiva, hanno invocato che si approvi la legge sul fine vita, per consentire la libertà di scelta.
Libertà di cosa? Scelta di che? Massimo rispetto sì. Nello stesso tempo occorre ribadire che le scelte devono essere a favore della vita, e non della morte. Non può essere una legge a stabilire chi deve vivere e chi deve morire, né le statistiche che dicono che il 75% della popolazione è a favore dell’eutanasia (negli anni passati già si propagandava che il 90 % degli operatori sanitari erano pro-eutanasia). Potrei dire che sono stato testimone oculare, nel 1990, della vicenda Nancy Beth Cruzan, la prima donna cui sono stati sottratti nutrizione e idratazione nel Missouri, dopo una battaglia legale senza precedenti.
Dopo di lei altri casi in Gran Bretagna e altrove fino a Eluana Englaro in Italia. Da allora una campagna senza sosta, non solo per legittimare tale decisione, ma per legalizzare il suicidio assistito anche in Italia. La dignità del paziente non può essere confusa con l’autodeterminazione. Il giudizio espresso a suo tempo in diversi interventi non muta. Le vicende legate alla vita umana non sono di competenza di tribunali o del parlamento, ma sono parte esclusiva di quello speciale rapporto medico- paziente.
Non entro nel merito di quale sia il compito del medico. Lo dice chiaramente il giuramento di Ippocrate, pena la fine dell’etica medica. Dico quale sia il nostro, riprendendo le parole del Concilio vaticano II, che mi sono ritrovato a rileggere in questi giorni: “Si può pensare legittimamente che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza” (Cost. Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, parte I, II, 31).
Altro che ingerenze del Vaticano. Sono trascorsi 60 anni! Ero studente di filosofia. Dopo pochi anni sono diventato sacerdote camilliano. Per 36 anni ho lavorato in strutture sanitarie e universitarie. Oggi lavoro ancora nelle case private, assistendo anziani e malati a domicilio, che chiedono solo cura, vicinanza e rispetto. Il lavoro portato avanti da confratelli e operatori sanitari nelle strutture sanitarie registra le stesse domande di donne e uomini feriti, bisognevoli di conforto e di sostegno fisico e morale. Una umanità vera, una compagnia fattiva. Di questo hanno e abbiamo bisogno, non di falsi umanesimi.
(Paolo Rossetti)
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