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Home » Esteri » Ucraina » SCENARIO UCRAINA/ Dazi anti Putin spuntati, Trump senza strategia: l’addio a Zelensky può ribaltare il tavolo

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SCENARIO UCRAINA/ Dazi anti Putin spuntati, Trump senza strategia: l’addio a Zelensky può ribaltare il tavolo

Int. Maurizio Boni
Pubblicato 30 Luglio 2025
Zelensky, presidente dell'Ucraina

Volodymyr Zelensky, Presidente Ucraina alla Conferenza sulla ricostruzione a Roma (ANSA 2025, Fabio Cimaglia)

Trump spinto dai neocon a minacciare la Russia, ma non convince. L’unica possibile novità è la sostituzione di Zelensky, ma non sarebbe risolutiva

Trump minaccia la Russia e chi fa affari con lei, anzi anticipa la scadenza dell’ultimatum nei confronti di Putin: senza pace fra 10-12 giorni imporrà nuove sanzioni, con dazi al 100%, se non di più. Ma anche se gli USA hanno spostato parte dei loro bombardieri in Gran Bretagna, agitando il pericolo di una risposta nucleare, la realtà dei rapporti con la Russia non cambia. Trump, spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’Armata e opinionista di Analisi Difesa, è pressato dall’ala neocon repubblicana a fare la faccia truce con il Cremlino, ma le sue minacce non sono così convincenti e comunque starà anche attento a non rovinare i rapporti con la Russia.


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Se ci può essere un vero elemento di novità, invece, quello potrebbe essere la sostituzione di Zelensky, ormai data per scontata anche dai media. Servirebbe a Trump per prendere tempo, in attesa che un nuovo leader ucraino valuti la situazione. Gli USA, d’altra parte, non hanno una vera strategia per uscire dalla guerra.


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Trump ha accorciato i termini dell’ultimatum a Putin. Contemporaneamente, gli americani avrebbero dislocato armi nucleari in Gran Bretagna. C’è una postura diversa degli USA nei confronti della guerra in Ucraina, un atteggiamento più aggressivo nei confronti della Russia?

La nuova data dell’ultimatum non cambia nulla. Probabilmente Trump è vittima di alcuni consiglieri nel suo staff, primo fra tutti il senatore repubblicano Lindsey Graham, favorevole a soluzioni radicali contro la Russia. È lui che lo istiga a prendere le decisioni più dure, l’artefice principale del diktat all’Europa per l’acquisto di armi americane.


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Alla conferenza di Monaco aveva affermato che c’era negli Stati Uniti un sentimento bipartisan, sia dei democratici che dei repubblicani, convinti entrambi che l’Europa avesse sempre fatto molto poco per la propria difesa. C’è una regia che fa capo a una frangia molto influente dei neoconservatori, che minacciano le ritorsioni più gravi: dazi del 100%, o addirittura 500%, come aveva minacciato Trump nei confronti dei Paesi che commerciano con la Russia.

Una minaccia credibile?

Non si sa bene contro chi è diretta. L’Europa è già stata punita. La Turchia si sta espandendo nel Caucaso meridionale a spese della Russia, quindi verrà lasciata in pace. È vero che i greci si sono rifiutati di aderire alle sanzioni, perché gran parte della loro flotta commerciale fornisce i vettori per esportare il petrolio russo, ma a meno che gli americani non diano ordine di prendere di mira queste navi, è difficile capire chi potrebbero essere gli obiettivi delle sanzioni.

Cina e India hanno già detto tranquillamente che non rinunceranno mai alle relazioni commerciali con la Russia. Sono affermazioni da valutare quando verrà presa qualche decisione. Per quanto riguarda la dislocazione delle armi strategiche in Gran Bretagna, il volo che le avrebbe trasportate è stato eseguito con il transponder acceso, in modo tale che per i russi fosse visibilissimo.

Quindi gli USA non hanno cambiato approccio?

La loro è una mossa che sottintende qualche misura estrema, ma che in effetti è priva di senso. Conferma che gli Stati Uniti non hanno una strategia per uscire dalla guerra. Vivono alla giornata. Trump è influenzato a inasprire il confronto con la Russia, ma non gli conviene: lui stesso ha dichiarato che con la Russia ha importanti rapporti commerciali che vuole salvaguardare.

I russi stanno tenendo delle esercitazioni in Bielorussia che hanno allarmato l’Ucraina. Potrebbero aprire un altro fronte di attacco? Putin non ha ancora rinunciato del tutto all’idea di conquistare tutto il Paese?

Putin vuole mantenere sotto pressione Kiev a 360 gradi. Non dobbiamo dimenticare che l’operazione militare speciale è iniziata secondo un asse di penetrazione settentrionale: Kiev è molto più vicina alla Bielorussia di quanto sia dal Donbass. In quel settore i russi avevano realizzato una superiorità di 12 a 1 nei confronti dell’esercito ucraino. Chiaro che l’Ucraina sia estremamente preoccupata quando si apre la prospettiva di una minaccia alla capitale che viene da nord: è un film già visto.

È uno strumento di pressione teorico o il Cremlino potrebbe passare all’azione?

Dal punto di vista militare tutte le opzioni sono possibili e ci sono diversi disegni operativi che si possono attuare a seconda delle condizioni che si realizzano sul campo di battaglia e delle opportunità che si creano. I russi sicuramente ne hanno uno importante che comprende uno sforzo principale offensivo nel Donbass e sforzi sussidiari a Sumy e a Zaporizhzhia. Però l’asse operativo settentrionale deve rimanere una preoccupazione per gli ucraini.

Quindi non possiamo escludere che alla fine i russi puntino a Kiev?

No, anche se chiaramente sarebbe molto oneroso dal punto di vista militare. A meno che non si rovesci il governo. E qui entra in gioco il tema della sostituzione di Zelensky. Non dico che sia imminente, ma la stampa la dà ormai per scontata. Questo potrebbe essere un elemento di novità per il futuro dell’operazione.

Le proteste interne contro Zelensky, d’altra parte, non accennano a diminuire. Aver bloccato l’attività delle agenzie anticorruzione gli ha alienato le simpatie della UE, che ora minaccia di non finanziarlo più. Come si spiega questa situazione?

È come se improvvisamente ci si accorgesse che il regime ucraino è corrotto. C’è sempre stata una fortissima preoccupazione anche da parte americana per il fatto che una parte delle armi, specialmente se leggere, facilmente smerciabili, andassero a gruppi di terroristi o alla criminalità organizzata. Sono finite in Sudamerica, in Africa. Le agenzie anticorruzione, d’altra parte, erano nominate e controllate da gruppi di potere occidentali, cioè non c’era niente che fosse genuinamente di origine ucraina.

Come è messo veramente Zelensky?

Da più di un anno c’erano segnali che Zelensky fosse in uscita. E le voci si sono infittite quando Trump ha deciso che il presidente ucraino probabilmente non gli era più utile, perché gli dava più problemi di Putin. A febbraio di quest’anno il New York Post diceva che fonti vicino a Trump avevano consigliato a Zelensky di fuggire in Francia prima possibile. Anche la Russia, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, ha sostenuto che Zelensky era in caduta libera.

Nel frattempo per lui la situazione è peggiorata?

Di fatto c’è una forte opposizione interna contro Zelensky, che tiene conto dei gravi insuccessi militari, della corruzione, di centinaia di migliaia di diserzioni, dei soldati che si rifiutano di combattere, dei cittadini che non vogliono essere arruolati, della legge marziale imposta per impedire le elezioni. Sono possibili anche processi di impeachment, lo stesso Parlamento potrebbe esautorarlo.

Un cambio di guida in Ucraina costituirebbe un’opportunità sia per Kiev che per gli Stati Uniti. A Trump farebbe comodo per prendere tempo, al di là del fatto che al suo posto arrivi l’uomo di Londra (Zaluzhny) o l’uomo di Washington (Poroshenko). Un cambio di governo a Kiev riaprirebbe in qualche modo anche le prospettive dei negoziati con la Russia, anche se non è detto che cambi sostanzialmente la situazione: i russi ribadiscono che le loro richieste sono immutabili; se non cambiano idea gli ucraini, le cose rimangono come sono.

(Paolo Rossetti)

 

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Tags: Volodymyr ZelenskyDonald TrumpVladimir PutinDazi

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