La pubblicità dei jeans American Eagle con l'attrice Sidney Sweeney è uno schiaffo all'egualitarismo ideologico della cultura woke. E ha successo
Una bella ragazza, bionda, occhi azzurri, con un bel fisico, chiude il cofano di una Ford Mustang GT 350, si sistema i jeans, si mette alla guida ripartendo con una potente accelerata e la conseguente nuvola di fumo.
Se una campagna pubblicitaria ha come primo scopo far conoscere un brand, non c’è alcun dubbio che quella di American Eagle dal titolo “Sidney Sweeney has great jeans” sia una campagna riuscita. Tutti parlano di lei. I cartelloni pubblicitari, con Sydney Sweeney in pantaloni e giubbino di jeans, ma con un generoso décolleté, vengono postati e ripostati, sui social ma anche sulle principali testate giornalistiche americane e non solo.
Il titolo di American Eagle ha avuto un balzo in borsa di circa il 20% e le vendite di questo marchio tradizionale che ultimamente era un po’ fuori moda si stanno rialzando.
Tutto questo, in primis, grazie alle critiche: la pubblicità gioca infatti sulle parole “jeans” e “genes” (geni) che in inglese si pronunciano allo stesso modo. I detrattori hanno quindi subito accusato American Eagle di essere razzista, di promulgare modelli di bellezza non inclusivi e stereotipi di genere.
Qualche critico ha addirittura parlato di una campagna che promuove l’eugenetica, che esalta la bianchezza e che propaganda idee naziste. Attivisti e giornalisti hanno lanciato slogan sui social, proponendo, ad oggi senza grande successo, campagne di boicottaggio mentre i leader democratici hanno evitato di commentare.

A rispondere alle critiche ci ha pensato innanzitutto il presidente Donald Trump, che ha subito mostrato il suo apprezzamento per la campagna pubblicitaria e per Sydney Sweeney in particolare (l’attrice risulta fra le altre cose registrata come elettrice repubblicana in Florida, dove risiede) e che ha evidenziato come “il vento è seriamente girato: essere woke è da perdenti”.
Il presidente ha comparato la campagna di American Eagle con la disastrosa pubblicità della Jaguar uscita nel 2024, che ha cercato di ri-brandizzare lo storico marchio inglese in nome dell’inclusività, portando a pessimi risultati in termini di vendite. Il presidente ha poi citato il crollo di vendite della birra Budweiser, dopo una campagna pubblicitaria guidata da un’attrice transessuale e la conseguente fuga dei consumatori tradizionali.
Il vice presidente Vance, intervistato durante il podcast Ruthless, è intervenuto sul tema dicendo “Il mio consiglio politico ai democratici è di continuare a dire che chiunque pensi che Sydney Sweeney sia attraente è un nazista” dichiarando che era convinto che dopo la sconfitta alle elezioni di novembre i democratici avrebbero iniziato ad essere meno strambi: evidentemente si sbagliava.
Icastica la conclusione del senatore repubblicano Ted Cruz: forse il problema è che la sinistra è semplicemente contro le belle donne.
In generale, si nota comunque un cambio di tendenza nelle campagne pubblicitarie di molti grandi marchi, che stanno abbandonando o riducendo i riferimenti espliciti alle tematiche dell’inclusione, al mondo arcobaleno o alla body positivity per condurre campagne più tradizionali, spesso a causa delle reazioni di parte del loro pubblico a certe esagerazioni. Altre aziende invece continuano nella strada intrapresa negli ultimi anni, cercando esplicitamente di smarcarsi da modelli culturali considerati conservatori.
“Go woke, go broke” è lo slogan coniato dalla destra americana per augurare il fallimento alle aziende che insistono nel portare avanti campagne pubblicitarie fortemente ideologizzate in salsa liberal. Sarà davvero così?
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