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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » I DAZI VISTI DAGLI USA/ C’è un solo “ostacolo” che può fermare la galoppata trumpiana

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I DAZI VISTI DAGLI USA/ C’è un solo “ostacolo” che può fermare la galoppata trumpiana

Sergio Luciano
Pubblicato 11 Agosto 2025
Wall Street, New York (Ansa)

Wall Street, New York (Ansa)

Cominciano a esserci dubbi sul fatto che le politiche di Trump sui dazi non funzioneranno. Per molti conta il giudizio di Wall Street

Un economista eterodosso ma universalmente stimato come Nouriel Roubini ha scritto qualche giorno fa un bellissimo articolo per mettere le mani avanti contro l’eventualità che la storia, o per lo meno la cronaca, si incarichino di sbugiardare la casta degli economisti convenzionali, unanimi a coro nel dire peste e corna della Trumpnomics.


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“Sebbene sia indubbio che l’agenda economica di Donald Trump sia potenzialmente stagflazionistica – scrive Roubini -, gli Stati Uniti sono al centro di alcune delle più importanti innovazioni tecnologiche della storia umana. Queste produrranno benefici che supereranno di gran lunga i costi di politiche commerciali e di altro tipo sconsiderate”. Una buona polizza per chi, deplorando le politiche trumpiane, comincia a temere di essere appunto smentito dai fatti.


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E poi, non diciamo banalmente “fatti”: citiamo più correttamente l’unico “fatto” che conta, nella testa tutto sommato povera di neuroni del pluralismo degli analisti americani, tutti attaccati alle mammelle di Wall Street. L’indice S&P 500 – che oggi influenza il pensiero unico americano ben più di quanto il volo delle aquile influenzasse le previsioni degli aruspici romani duemila anni fa – tra il 2 e il 3 aprile, all’annuncio dei dazi trumpiani, ha perso il 4,9%. Una settimana dopo aveva già recuperato il crollo, il 13 maggio era tornato in zona di guadagno anche rispetto all’inizio dell’anno, il 27 giugno aveva segnato il suo nuovo record storico e l’8 agosto un altro record.


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Insomma, visto che tutti i previsori economici americani vivono di “soldi riflessi” da Wall Street, e a questa consapevolezza hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, appaltato il cervello, si conferma l’eterodossia di Roubini, che per lo meno inizia a correre ai ripari trovando spiegazioni diverse per l’inammissibile verità…

La verità è che il mondo della finanza americana, che considera i valori etici e sociali come il formichiere considera le formiche, ossia puri alimenti, aveva scelto da un bel po’ di anni prima dell’avvento di Trump, la comoda strada dell’ipocrisia. Razzoliamo malissimo, prevarichiamo, strangoliamo i fornitori, costruiamo monopoli, ma facciamolo dicendo a tutti che pensiamo soltanto al bene del pianeta e dell’umanità.

Quando nel suo primo quadriennio Trump aveva iniziato a correggere questa rotta ipocrita, facendo cose anche peggiori ma dichiarandole, c’era stato sconcerto e s’era impostata una difesa, poi il Covid aveva scompaginato ogni cosa e comunque la sfida con Biden era andata com’è andata e lo schiaffo di Capitol Hill aveva fatto pensare alla anime belle della finanza democratica che il pericolo del Troglodita Biondo fosse definitivamente archiviato.

Errore! Il punto è che la finanza democratica americana ama profondamente solo chi le porta quattrini attraverso Wall Street: purché, però, glieli porti – così si era abituata a pensare – incartati in eleganti confezioni “woke”. L’oscena dedizione di tutta l’economia americana ai meri valori di Borsa, la depravata prostrazione del legislatore americano a un liberismo senza se e senza ma, che permette la trasformazione in reato di qualsiasi business semplicemente voltandosi dall’altra parte – la storia del web ne è la riprova – erano i fenomeni dominanti, e desideravano solo essere lasciati in pace nella loro ipocrisia.

Tutta la stagione dei famosi principi “Esg” è stata la riprova di quanto ipocrita fosse quel modo di gestire il potere economico. Arricchitevi quanto volete, lucrate sui Paesi a basso costo, calpestate la proprietà intellettuale, lasciate che i minori si traumatizzino quanto vogliono… basta che ci lasciate il diritto di dire che noi siamo immacolati, che noi siamo i paladini della democrazia nel mondo, che noi vogliamo decarbonizzare e non fumiamo nemmeno all’aperto.

Tutta vomitevole ipocrisia. È arrivato Trump e ha cominciato a mandare all’aria ogni cosa. A dichiarare quel che gente come Clinton diceva in privato, tipo dove “farsi baciare” dal mondo: e per restare un attimo sul tema uscendo dalla metafora, mentre su Trump si cercano prove di una collusione (peraltro probabilissima, visto che parliamo comunque di due famosi depravati) con l’erotomane pedofilo Epstein, su Clinton è certo, dimostrato e conclamato che quel democraticissimo Presidente aveva ritenuto opportuno avere rapporti sessuali orali nello Studio Ovale con una stagista.

E dunque questo genere di disgustosa ipocrisia è stata spazzata via da Trump. Urlando – viene da immaginare! – “Melania, dammi la clava”, come Fred Flintstone, il presidente “Maga” ha deciso di mettere a repentaglio le colonie economiche che gravitavano attorno agli Usa.

Donald Trump, presidente USA (Foto: ANSA)
Donald Trump, presidente USA (Foto: ANSA)

Come? Risfoderando un’arma periodicamente usata dalla Casa Bianca, appunto i dazi. Ma con modalità di comunicazione choccanti, da social media, secondo un’attitudine che il quasi ottantenne biondone ha dimostrato di avere meglio di un adolescente.

E dunque: dicono i suoi scherani che i dazi altro non sono che una tassa sulle importazioni, che o genera ricavi fiscali aggiuntivi per il Governo, nel caso in cui i consumatori continuino a preferire i prodotti “daziati”, oppure genera domanda a vantaggio dell’industria nazionale (o di quel che ne resta) qualora i consumatori si allontanino dai prodotti daziati cercando alternative a essi tra quelli nazionali. In ogni caso, dice Trump, i dazi ci giovano.

Al momento, con i dazi già entrati in vigore e ai loro attuali livelli, si stimano entrate erariali maggiori di 50 miliardi al mese nelle casse doganali americane. Inoltre, Trump ha intimato all’Europa – mai come ora smarrita e disunita – di farsi carico di spese militari molto più ingenti, ottenendo il doppio vantaggio di ridurre quelle federali e portare comunque più commesse alle proprie industrie belliche. Poi, con una spregiudicatezza che davvero sfocia nella violenza ideologica, Trump sta mettendo in campo richieste le più varie, nelle negoziazioni con i Paesi “daziandi”, dalle politiche di lotta contro il fentanyl a fattori normativi vari su tecnologie specifiche. E con risultati non trascurabili.

Le critiche non moralistiche o “stilistiche” a questa politica doganale sono note: i dazi farebbero aumentare i prezzi e quindi l’inflazione, costringendo prima o poi la Fed ad alzare i tassi e frenando l’economia; rischierebbero di attrarre ripercussioni contro altri settori dell’economia americana che hanno “bisogno del mondo”; e alla lunga deprimerebbero la virtuosa spinta concorrenziale che stimola le imprese a fare sempre meglio.

Un genere di critiche che – fin quando non saranno corroborate da fatti – fanno su Trump lo stesso effetto che farebbe su uno stupratore fargli notare che, facendo quel che fa, si spettina.

Quanto può durare questo cataclisma economico? Poco o tanto, chiunque lo dica azzarda. Ma una cosa è certa: il mondo è messo talmente male sul piano della democrazia, dei valori umani e della libertà – che per cercar di capire quando si fermerà la galoppata trumpiana non possiamo far altro che scrutare l’S&P 500. Poteva andar peggio, potevamo ancora dover scrutare le viscere degli uccelli.

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Tags: DaziDonald TrumpInflazione

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