Una performance. Tre donne in grado di dar corpo e voce alla poesia di un'altra donna, Emily Dickinson. "Figlie dell'oro" di Flaminia Colella
VITRIOL: Visita Interiora Terrae et Rectificando Inveniens Occultum Lapidem. E proprio quella pietra nascosta, capace di trasmutare il piombo in nobilissimo metallo, è ciò che regalano tre donne in grado di dar corpo e voce alla poesia di un’altra donna, Emily Dickinson, che scandagliò a fondo la propria interiorità in una reclusione quasi claustrale, fino ad arrivare “a prendere il nome dell’oro”.
Grazie a questa opera alchemica, quel “sorso di vita che costò un’intera esistenza” si è materializzata dinanzi a chi ha assistito, lo scorso 4 luglio a Roma, all’intreccio di versi, parole e danza tra Flaminia Colella, Galatea Ranzi e Arianna Balestrieri, realizzato con la performance Figlie dell’oro. Emily Dickinson & Co. nell’ambito della rassegna Piccolo teatro di poesia al ViVe curata da Davide Rondoni e promossa dalla direttrice del Vittoriano e Palazzo Venezia, Edith Gabrielli.
Dopo le rappresentazioni al Teatro dei Rinnovati di Siena nel 2021 e all’Arena del Sole di Bologna nel 2024, è proseguito quindi nella Capitale il percorso di un’autentica creazione che risponde al significato letterale di pòiesis. Il sostantivo del verbo poiéin, “fare”.
E se Diotima, nel Simposio di Platone, nel rivolgersi a Socrate afferma che “la causa per cui ogni cosa passa dal non essere all’essere è sempre creazione (ossia, per l’appunto, pòiesis)”, quando la parola si fa gesto e si tramuta in poesia, attraverso la voce e per mezzo della danza che sa interpretare e farsi guidare dai versi di Emily Dickinson, quella a cui si assiste è esattamente la creazione di un mondo davanti ai nostri occhi.
Un mondo in cui a tratti, in una cosmogonia prettamente ellenistico-cristiana, è il verbo – logos – a far muovere i passi, dove col cessar della musica è la declamazione dei versi a dettare il ritmo delle movenze. Mentre a volte è la danza a guidare il gioco – in un climax che culmina nel tocco reciproco fra chi parla e chi balla – a reminiscenza del mito pelasgico della creazione in cui Eurinome, volteggiando sulle onde, divide il mare dal cielo e irretisce il serpente Ofione con cui, accoppiandosi, genera l’Uovo cosmico.
Ma qui, in questo mondo creato con un vero e proprio rito nella Sala del Refettorio di Palazzo Venezia, il maschile, seppur simbolico, è del tutto assente. È fuori dal cerchio. Ognuna delle tre interpreti incarna diversi aspetti della Grande Madre da cui tutto discende, da quello elementare – che genera, alimenta e protegge – a quello trasformatore – che muove, inquieta e sospinge – offrendo al maschile che sa guardare una preziosa occasione di vita. Senza costargli un’intera esistenza.
Un autentico dono, di cui chi ha assistito ha fatto tesoro. E che questo autunno si rinnoverà nelle prossime rappresentazioni delle Figlie dell’oro in un calendario che si sta definendo nel corso della pausa estiva.
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