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Home » Esteri » Medio Oriente » GAZA/ “Perché il sì (forse) di Hamas alla tregua non cambia i piani di Israele sui palestinesi”

  • Medio Oriente
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GAZA/ “Perché il sì (forse) di Hamas alla tregua non cambia i piani di Israele sui palestinesi”

Int. Sherif El Sebaie
Pubblicato 19 Agosto 2025
Una nonna palestinese piange il nipote, Yaman Al Zaneen, ucciso nella Striscia di Gaza il 14 ottobre 2024 (Ansa)

Una nonna palestinese piange il nipote, Yaman Al Zaneen, ucciso nella Striscia di Gaza il 14 ottobre 2024 (Ansa)

Sì di Hamas alla tregua, ma Israele lascerà ai palestinesi uno spicchio di Striscia per costringerli a emigrare. Il futuro di Gaza è senza di loro

L’Occidente pensa ad altro e Netanyahu, per nulla impressionato dalle proteste interne che chiedono la liberazione degli ostaggi o dalle iniziative della Corte penale internazionale contro Smotrich e Ben Gvir, prosegue nei suoi piani. Accontenta la parte più estremista del suo elettorato immaginando una deportazione “volontaria” dei palestinesi, anche se sa che l’ipotesi di spostarli in altri Paesi è praticamente irrealizzabile.


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Di fatto, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, concentrerà la popolazione di Gaza in un fazzoletto di terreno, rendendo sempre più invivibile la situazione e costringendo le persone ad andarsene per disperazione.

Quello che aspetta i palestinesi, insomma, non è una deportazione di massa in tempi brevi, ma un lento svuotamento della Striscia. Tanto che lo stesso Netanyahu, in un’intervista, ha conferito solo alle prossime generazioni il compito di allargare Israele liberandosi dei palestinesi e occupando anche altri territori.


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Intanto Hamas, secondo Al Jazeera, avrebbe accettato una proposta di tregua presentata da Egitto e Qatar: 60 giorni di cessate il fuoco, 10 ostaggi liberati, 200 prigionieri palestinesi scarcerati e secondo alcune fonti la revisione di alcune mappe di dispiegamento delle truppe israeliane. Ma ammesso che vada in porto l’accordo non è detto che rappresenti una vera svolta.

Hamas dice sì a una proposta di tregua, c’è ancora la possibilità che una trattativa possa andare a buon fine?

Ammesso che la proposta vada in porto, cosa non affatto scontata, mi sembra comunque una soluzione temporanea, che non cambia la sostanza delle cose. Non è neppure detto che funzioni: può anche darsi, come è già successo, che dopo pochi giorni si verifichi qualcosa per cui si denuncia che la tregua è stata violata e finisce tutto lì.


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I due mesi di tregua potrebbero essere usati da Israele per spostare la popolazione della Striscia a sud?

Probabile, così possono dare ai palestinesi anche la possibilità di uscire.

Gaza. Palestinesi ad un punto di distribuzione aiuti (Ansa)

Grandi proteste in Israele per la liberazione degli ostaggi. Ma non è la prima volta che succede: in questo caso le pressioni su Netanyahu serviranno a qualcosa?

Non cambieranno assolutamente niente. Il malcontento sulla gestione della crisi degli ostaggi e della guerra a Gaza sta durando da due anni; ciò nonostante, il governo di Netanyahu sta andando avanti come se niente fosse, anche perché non ha scelta: si regge sul sostegno dei partiti più estremisti e ha tutto l’interesse a coltivare questo clima di guerra permanente che lo mantiene al potere.

Nel frattempo l’IDF, dopo qualche resistenza iniziale, sta preparando i piani per l’ennesima invasione di Gaza e per spostare i palestinesi a sud della Striscia in vista di una loro deportazione. L’unica incognita che rimane è: dove porteranno i palestinesi?

I Paesi vicini non ne vogliono sapere, l’hanno ribadito a chiare lettere; almeno per il momento, il destino dei palestinesi è di continuare a essere spostati da una parte all’altra della Striscia. L’obiettivo ultimo di Israele è deportarli, portarli fuori, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Si parla di Libia, Sud Sudan: tra le ipotesi avanzate quali sono le più credibili? O sono tutte incredibili allo stesso modo?

Sono tutte incredibili, soprattutto dal punto di vista umanitario e del diritto. Avallare un’operazione del genere significa mandare all’aria l’ordine internazionale, la Convenzione per i diritti dell’uomo. Stiamo parlando letteralmente di portare milioni di persone fuori dalla loro terra e mandarle in altri contesti dove non è detto che si trovino bene e che vengano accolte con favore.

Se gli israeliani dovessero procedere alla deportazione, per quanto presentata come volontaria, la comunità internazionale questa volta non potrebbe esimersi finalmente dal prendere qualche iniziativa concreta?

Per procedere, la comunità internazionale deve essere d’accordo, a cominciare dai Paesi che dovrebbero accogliere i palestinesi. La vedo molto difficile, non credo che ci siano governi che si prestino a diventare complici di una deportazione di massa. Anche se viene ammantata di principi umanitari, presentata come necessaria per salvaguardare le vite umane, di questo stiamo parlando.

Paesi come Libia e Sud Sudan, che per motivi diversi sono in difficoltà, potrebbero essere convinti a ospitare i palestinesi, magari dietro la promessa di cospicui finanziamenti o vantaggi?

Non è che il compenso faccia venire meno la realtà dei fatti, quindi la complicità in una deportazione di massa. La Libia, in piena guerra civile, si accollerebbe anche un milione di palestinesi? Flussi migratori meno consistenti causano problemi di convivenza, figuriamoci un’immigrazione di queste dimensioni. Abbiamo già visto a cosa ha portato l’arrivo dei palestinesi in Libano, in Giordania: continueranno a cercare di tornare nella loro terra di origine.

Netanyahu e il suo governo credono veramente di riuscire a deportare i palestinesi o sanno comunque che sarà impossibile realizzare il loro piano?

Il governo Netanyahu è disposto ad accarezzare i sogni della parte più estremista di Israele, che sembra diventare sempre più preponderante, anche se questi piani sono assolutamente irrealizzabili. Nell’intervista televisiva rila

sciata nei giorni scorsi, il premier ha lasciato intendere che il suo sogno è di creare il Grande Israele: significa prendere parti di Egitto, Libano, Giordania, Arabia Saudita. Non esattamente un sogno realizzabile nel breve, nel medio e nemmeno nel lungo termine; nonostante tutto, però, ne parla apertamente. Mi sembra che Netanyahu e il suo governo siano disposti a far balenare questi scenari, anche se totalmente irrealizzabili, perché galvanizzano lo zoccolo duro del loro elettorato. Se tutto ciò si dimostrerà irrealizzabile, il premier dirà che toccherà alla prossima generazione.

Realisticamente, fino a dove può arrivare Netanyahu?

Israele è nato da un’idea che sembrava irrealizzabile a suo tempo. Netanyahu ha dichiarato che la generazione dei suoi genitori ha sognato questo Stato e l’ha realizzato; la sua ha il compito di consolidarlo, le prossime dovranno estenderlo, allargarlo. Nell’intervista, che ha suscitato grande scandalo anche nei Paesi arabi, non si è assunto, tuttavia, la responsabilità dell’allargamento.

Realisticamente, allora, cosa succederà a Gaza?

Credo che i palestinesi verranno confinati in un’area ancora più piccola rispetto a quella occupata finora, un quarto di quella attuale. Significa rendere le loro condizioni di vita ancora più miserabili, con la speranza di spingerli a un’emigrazione volontaria. Israele ha già detto che, se vogliono partire volontariamente, di certo non si opporrà. Penso che realisticamente il piano sia proprio questo: rendere le condizioni di vita nella Striscia ancora più invivibili, ritagliandosi nel frattempo una bella fetta di territorio in cui costruire delle colonie e dei resort.

Middle East Eye parla di mandato di arresto della CPI pronti per Smotrich e Ben Gvir con l’accusa di apartheid. Incideranno in qualche modo sulla situazione?

Le loro uscite sono rivolte a un’opinione pubblica interna, al loro elettorato; non credo proprio che si preoccupino dell’effetto che tutto ciò può avere su di loro a livello internazionale, anche perché il Paese che potrebbe danneggiarli con sanzioni personali, il blocco di conti o la limitazione dei movimenti, vale a dire gli Stati Uniti, non sembra intenzionato a procedere in questa direzione.

Ma la comunità internazionale, l’Occidente in particolare, può fare qualcosa per fermare i piani di Israele?

Quello che sta succedendo in queste ore dimostra che gli occidentali, specie gli europei, hanno un’altra urgenza: gestire la guerra in Ucraina e la Russia in un momento in cui Trump agisce autonomamente. Credo che Gaza sia l’ultimo dei loro problemi.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald Trump

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