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Home » Energia e ambiente » BLUE ECONOMY/ Le potenzialità dell’energia rinnovabile dei nostri mari

  • Energia e ambiente
  • Economia e Finanza

BLUE ECONOMY/ Le potenzialità dell’energia rinnovabile dei nostri mari

Stefania Debora Gandini
Pubblicato 10 Settembre 2025
Parco eolico, rinnovabili

Parco eolico (Foto: Pexels)

Tra gli aspetti emergenti della Blue Economy vi è anche la produzione di energia rinnovabile dai nostri mari, sfruttando vento e onde

La Blue Economy dona molte opportunità e quella dell’energia blu è sicuramente una tra le più interessanti e promettenti. Perché il potenziale è enorme e comprende diverse tecnologie che si applicano per creare energia marina rinnovabile dal vento, dalle maree, dal moto ondoso, dalle correnti e persino dalla conversione termica dell’acqua.


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Secondo i dati dell’Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – il Mediterraneo è in grado di generare oltre 450 GW di energia che basterebbero, per capirsi, a coprire quasi la metà del fabbisogno elettrico annuo dell’Italia. Ed è proprio il nostro Paese, con i suoi 8.000 km di coste, un candidato naturale per lo sviluppo soprattutto dell’eolico galleggiante nelle zone dove il vento è più costante e potente, tecnologia che prevede di installare turbine in acque profonde.


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A oggi, esiste soltanto una turbina sperimentale al largo di Taranto – inaugurata nel 2022 con una capacità di 30 MW, è sufficiente ad alimentare circa 60.000 utenze – anche se ci sono progetti pari a circa 20 GW di capacità già autorizzati o in fase di autorizzazione. Nel Canale di Sicilia sono stati presentati progetti colossali come Med Wind, da 2,9 GW, che diventerebbe il più grande impianto del Mediterraneo, e altre iniziative tra Ragusa e Catania per oltre 2,8 GW complessivi. Anche il Tirreno ha progetti al largo di Civitavecchia (540 MW) e in Sardegna, dove i consorzi hanno depositato richieste per oltre 5 GW.


AUTO ELETTRICA DAL 2035/ "Ursula cede ai Verdi e fa scappare in Cina (o chiudere) le nostre imprese"


Foto di Bella White (Pexels)

Ma comparandoci alla Francia che ha già installato oltre 500 MW (1 GW = 1.000 MW) tra Atlantico e Mediterraneo – il nuovo parco eolico offshore di Saint-Nazaire ha una potenza di 480 MW ed è sufficiente per alimentare circa 700.000 abitazioni (dato Edf) – oppure alla Spagna che ha già autorizzato 3 GW entro il 2030, l’Italia si può dire che non ha ancora decollato.

Inutile dire che la questione non è soltanto tecnologica, ma anche finanziaria e politica. Enea stima che sviluppare 10 GW di eolico offshore entro il 2030 richiederà circa 35 miliardi di euro di investimenti, di cui almeno il 40% privati. I fondi del Pnrr e i programmi europei legati al Green Deal possono coprire parte delle spese. Ad aggravare la fluidità del processo, gli iter autorizzativi per le imprese sono lunghi e complessi, parliamo anche fino a sette anni per ottenere le autorizzazioni necessarie.

Non da sottovalutare inoltre la parte dell’opinione pubblica che teme l’impatto visivo degli impianti. Il XIII Rapporto sull’Economia del Mare di OsserMare, realizzato insieme al sistema delle Camere di Commercio, sottolinea come il settore energetico blu sia ancora marginale in Italia, ma con potenzialità di crescita superiori al 10% annuo se sostenuto da investimenti mirati.

Il Mediterraneo, il Tirreno e lo Ionio, oltre all’eolico, si prestano a una tecnologia ancora più pionieristica, quella delle energie marine rinnovabili, cioè il moto ondoso e le correnti. Esperimenti condotti in Sardegna e in Sicilia hanno dimostrato che ogni chilometro di costa ad alta energia può generare fino a 10 MW costanti. Se proiettiamo la scala, un solo chilometro di costa sfruttato bene potrebbe coprire il fabbisogno di una cittadina di oltre 10.000 abitanti.

Enea ha calcolato che l’energia delle onde nel solo Canale di Sicilia potrebbe soddisfare interamente il fabbisogno elettrico di una città come Palermo. Numeri entusiasmanti, ma che devono fare i conti con i finanziamenti, con le lunghe attese per le autorizzazioni e con la complessa convivenza tra produzione energetica, turismo, pesca e paesaggio.

Nelle sedi della Comunità europea non ci sono dubbi, con il programma Green Deal, Bruxelles ha fissato l’obiettivo di raggiungere 60 GW di eolico offshore entro il 2030 e addirittura 300 GW al 2050. Esiste dal 2023 anche il Piano industriale per il Net Zero, con cui l’Ue vuole garantirsi autonomia energetica e industriale, evitando di trovarsi dipendente da fornitori extraeuropei per la transizione verde, è complementare al Green Deal e punta a fare del Vecchio continente una fabbrica di tecnologie pulite entro il 2030. Ma mentre il Mare del Nord corre, il Mediterraneo vede soltanto la Francia che ha già inaugurato i suoi primi parchi galleggianti e la Spagna che ha disegnato una mappa di aree marine destinate all’offshore.

Quando si parla di energia blu entrano in gioco altre dimensioni della Blue Economy. Perché l’energia blu non significa soltanto elettricità pulita, ma anche nuovi posti di lavoro qualificati, attrazione di capitali, nascita di filiere tecnologiche legate al mare.

Industria, occupazione, ambiente, l’Italia deve correre, anzi navigare a gonfie vele se non vuole restare a terra. Sì, perché il nostro mare che per millenni è stato crocevia di rotte commerciali, oggi può diventare il motore di produzione dell’energia sostenibile dell’Europa. Davvero un’occasione storica per legare la decarbonizzazione agli obiettivi del Green Deal: serve coraggio politico, visione industriale e capacità di accelerare, sappiamo che senza queste condizioni l’energia blu resterà un tesoro che vale miliardi, ma che resterà sommerso.

 

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