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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » TERRE RARE E GUERRA DEI CHIP/ “Usa e Cina si dividono il mondo, Ue vittima designata (dal suo green)”

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TERRE RARE E GUERRA DEI CHIP/ “Usa e Cina si dividono il mondo, Ue vittima designata (dal suo green)”

Int. Gianclaudio Torlizzi
Pubblicato 19 Settembre 2025
Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa)

Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa)

Gli USA offrono alla Cina chip in cambio di terre rare. Pechino vuole la tecnologia per i semiconduttori. Si va verso il decoupling e due blocchi economici

Gli USA offrono chip in cambio di terre rare, ma alla Cina non basta: vuole la tecnologia per fabbricarsi da sola i semiconduttori che le servono. La guerra tra i due colossi dell’economia mondiale si sta giocando su questo. Uno scontro che entrambi hanno bisogno di risolvere, ma che alla fine, a lungo andare, spiega Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, porterà a un disaccoppiamento delle due economie, alla realizzazione di due economie globali: una con punto di riferimento Pechino, l’altra che guarda a Washington, che cercheranno di essere autosufficienti al loro interno. Uno scenario nel quale l’Africa avrà sempre più peso e l’Europa è in ritardo clamoroso, non avendo stanziato neanche un euro per una filiera delle terre rare continentale.


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La Cina ha vietato alle sue aziende di acquistare da Nvidia i chip per l’IA: la guerra tecnologica con gli USA continua?

Tutto è riconducibile alla guerra artificiale tra Washington e Pechino. La Cina, come l’Occidente, anela a ottenere un’autonomia strategica, ma mentre USA ed Europa hanno come loro punto debole le materie prime, per il Dragone il vulnus è la produzione di semiconduttori, soprattutto quelli a bassi nanometri. L’idea dei cinesi è quella di ottenere il know-how occidentale sulle apparecchiature per la produzione di semiconduttori, più che i chip sic et simpliciter.


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Invece che comprarli vogliono imparare a farseli in casa?

Certo, così come gli americani – non l’Europa, invece – stanno provando a sviluppare da zero tutto il settore delle materie prime critiche: lo scenario che vede un graduale disaccoppiamento tra i due blocchi rimane più attuale che mai.

Se la Cina sta rifiutando lo scambio chip-terre rare perché vuole venire in possesso dei macchinari per i chip, come sta procedendo la trattativa fra i due Paesi?

Nel dettaglio non lo sappiamo. Alla Cina non basta avere i semiconduttori di Nvidia, vuole avere la tecnologia, e questo è il punto di maggiore attrito tra i due Paesi. Forse gli Stati Uniti potrebbero cederla nella misura in cui Pechino garantirà una regolare fornitura di materie prime. È un braccio di ferro nel quale entrambi non vogliono arrivare all’escalation militare, ma a un disaccoppiamento condiviso.


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In questo momento, però, sono più gli americani che hanno bisogno delle terre rare o più i cinesi che hanno bisogno dei chip da loro?

Credo che entrambi abbiano bisogno l’uno dell’altro, ma che al momento non vi siano le condizioni per un disaccoppiamento: il processo di decoupling sarà molto lungo, complesso, caratterizzato da avvicinamenti, allontanamenti, minacce più o meno velate. Non mi sentirei comunque di dire che il coltello dalla parte del manico ce l’hanno i cinesi o gli americani. Parliamo di due superpotenze che dettano le regole del gioco; dovremmo chiederci, invece, che ruolo possa avere l’Europa in questa contrapposizione.

Il fatto che si vada verso un decoupling tra le due economie vuol dire che non avremo più un’economia globale, ma ne avremo due? Due mondi che hanno Cina e USA come riferimento e che cercheranno di avere al loro interno tutto quello di cui hanno bisogno?

Nvidia (Foto: ANSA-EPA/RITCHIE B. TONGO)

L’idea è quella di arrivare a una separazione dei blocchi con pricing diversi. Uno dei motivi per cui il settore delle terre rare in Europa e in America non si è ancora sviluppato è dato dal prezzo: la manipolazione di Pechino in questo comparto non riguarda solo il contingentamento delle esportazioni. Alterna fasi di forte dumping per abbassare artificialmente i prezzi e allontanare potenziali investitori. È successo così che, nel momento in cui gli Stati Uniti hanno effettuato un investimento diretto nel capitale di un produttore di terre rare americano, la MP Materials, contestualmente l’accordo prevede anche il pagamento di un prezzo ben superiore rispetto a quello di mercato, fatto dai cinesi.

Questo cosa comporta?

Significa che probabilmente andiamo anche incontro a una separazione che non è solamente industriale, ma anche sul fronte del pricing delle materie prime, alla quale potrebbe seguire anche un decoupling finanziario, cosa che i mercati non hanno ancora pienamente realizzato.

Quanto tempo ci vorrà prima che si realizzi uno scenario del genere?

È uno scenario di medio-lungo termine. A oggi non ci sono le condizioni, ma ogni giorno si fa un passo in questa direzione. Uno scenario in cui, tendenzialmente, l’innalzamento dei costi per l’Occidente deve essere controbilanciato da un abbassamento dei costi dell’energia, che è un po’ la strategia americana. Dall’altro lato, in Cina la deflazione strutturale deve essere bilanciata da una salvaguardia dei profitti aziendali: a questo punta la politica inaugurata dal governo di Pechino proprio per distribuire marginalità ai settori come quello delle auto elettriche (ma non solo), nel quale si è scatenata una guerra dei prezzi tra i produttori. Ogni blocco, insomma, avrà i suoi punti di forza e le sue criticità.

L’Unione Africana ha lanciato l’idea di un’unione mineraria tra i Paesi del continente, per difendersi un po’ dall’assalto dei Paesi che vengono in Africa per prendersi le materie prime. È lì che si gioca la partita delle terre rare?

In Africa, come in Sud America, i fenomeni di nazionalismo minerario saranno sempre più forti. Ne hanno ben donde. Questo non potrà che innalzare i costi produttivi delle materie prime, quando i Paesi africani non saranno più disposti a farsi saccheggiare dall’Occidente o dall’Oriente. In questo ha senso: un’idea potrebbe essere proporre loro dei piani di investimento in cui si condivide l’onere finanziario e si dividono i prodotti.

Continueremo ad avere bisogno di questi Paesi per l’estrazione delle terre rare?

L’estrazione è solamente un aspetto del problema: il vero collo di bottiglia è nella raffinazione, che nessuno vuole fare perché è inquinante, richiede molta acqua ed è tutto fuorché green. Proporre a questi Paesi delle partnership può essere una via da percorrere per garantirsi un canale di approvvigionamento. Su questo l’Europa è in ritardo. Anzi, neanche si è resa conto del ritardo: non stanzia un euro per lo sviluppo di una filiera europea sulle materie critiche. Una cosa gravissima.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Economia USA

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