Trump e Starmer firmano accordi sull'energia nucleare, la Francia pianifica l'autosufficienza. La Ue invece fa scelte anti-sviluppo
Un telegramma dagli USA. Lo scorso 18 Settembre, Donald Trump e il primo ministro inglese Starmer si sono incontrati a Londra, a valle della visita del presidente americano a re Carlo. È stata l’occasione per una verifica e per un sostanziale rafforzamento della storica collaborazione tra USA e Regno Unito, al netto delle (poche) differenze di vedute e posizioni su alcuni dossier.
A consolidare la partnership, anche la firma di un nuovo accordo di collaborazione tecnica (il Technology Prosperity Deal), su tre fronti critici per il futuro: intelligenza artificiale, computer quantistico ed energia nucleare.
L’accordo sull’AI è rivolto alle applicazioni in tema di ricerca medica, mentre sul quantum computing sarà lanciata una task force congiunta.
Sul nucleare, invece, due impegni concreti. Il primo: le due Autorità di Sicurezza Nucleare (NRC per gli USA e ONR per UK) collaboreranno e saranno adeguatamente supportate nell’accelerazione della fase di valutazione e autorizzazione alla costruzione di nuovi impianti nucleari, con l’obiettivo di ridurre a due anni l’approvazione (licenza) del progetto e a un anno quella del sito. Sarà accelerata anche la fase di permitting da parte dell’Agenzia inglese per l’ambiente.
Il secondo: raggiungere un adeguato livello di affidabilità e di sicurezza di approvvigionamento dei combustibili nucleari avanzati in entrambe le nazioni, attraverso lo sviluppo delle supply chain, avendo come obiettivo strategico di diventare totalmente indipendenti dall’import di combustibile russo entro il 2028.
A corollario, dichiarazioni di collaborazione per facilitare la partnership commerciale nel settore nucleare, ridurre le barriere per la realizzazione di reattori avanzati, supportare l’export tecnologico di reattori nucleari verso Paesi terzi (vedi EU…), coordinare le ricerche e le legislazioni sulla fusione per aiutare un suo sviluppo competitivo a livello industriale e commerciale, esplorare le applicazioni marittime dei reattori nucleari.
Sono intenzioni che non dovranno rimanere sulla carta: per questo, è stato identificato un programma temporale per raggiungere gli obiettivi ed è stato costituito un gruppo di lavoro interministeriale a guida delle iniziative, la prima riunione di verifica da tenersi entro marzo 2026.
La notizia sul combustibile nucleare fa il paio con un’altra, assai simile, proveniente dalla Francia: il gruppo di lavoro nucleare presieduto da Macron ha deliberato la nuova strategia nucleare nazionale che, oltre allo sviluppo e alla costruzione di vari tipi di nuovi reattori a fissione – ad acqua, a sodio e pure a sali fusi – traguarda l’indipendenza dei francesi non solo dal combustibile russo, ma addirittura dall’import totale di uranio naturale entro i prossimi decenni, comunque entro la fine del secolo.
I francesi produrranno e ricicleranno in casa il combustibile per tutti i loro reattori. Sovranità completa dell’intera filiera nucleare, dalla culla alla tomba.

A questo punto, non ho potuto evitare il confronto con la situazione europea.
Mentre il Dipartimento dell’Energia USA conferma i 900 milioni di dollari per supportare lo sviluppo e la realizzazione di Small Modular Reactors (SMR), i cugini inglesi assegnano addirittura 2,1 miliardi di sterline a Rolls Royce per lo stesso scopo. Di contro, in Europa è vietato destinare anche un solo euro di fondi comunitari allo sviluppo di nuove tecnologie nucleari da fissione: sono lecite solo le iniziative sulla fusione, o quelle sulla sicurezza, la radioprotezione, la gestione dei rifiuti radioattivi e il decommissioning.
Ma niente sull’industria nucleare attuale. Nemmeno nell’ambito della EU SMR Industrial Alliance: senza un soldo, ma con 10 progetti di reattori modulari da supportare, molti dei quali però di proprietà extra-UE.
E pure la ricerca mostra lo stesso strabismo. Il prossimo programma Euratom 2028-34 vedrà sì quintuplicare i fondi sul nucleare (da 1,9 a 9,8 miliardi di euro), ma la stragrande maggioranza andrà agli studi sulla fusione: altri 4 miliardi direttamente all’avanzamento della costruzione di ITER (dopo i 2,9 nel periodo 2014-20 e i 5,6 del programma 2021-27), ai quali si aggiungeranno altri 1,3 miliardi per la ricerca e per lo sviluppo dell’industria fusionistica europea. Per l’energia da fissione, che rappresenta il 24% dell’elettricità prodotta in Europa, praticamente quasi la metà di tutta l’elettricità decarbonizzata, solo 590 milioni di euro. Ma si badi bene, non per l’industria e per sviluppare nuovi reattori.
Purtroppo, non è la sola notizia “singolare” sul versante della ricerca EU: proprio mentre Trump e Starmer si incontravano, la commissaria europea alla ricerca, Ekaterina Zaharieva, comunicava la fantastica idea della Commissione di assegnare i fondi del prossimo programma ai ricercatori attraverso una “lotteria” (sì, l’ho riletta anch’io tre volte, avete inteso bene). Il motivo: dare le stesse probabilità di successo a proposte di ricerca di valore simile.
Commento finale: lo Starmer laburista si trova in piena sintonia con il Trump repubblicano nel perseguire in modo serio e deciso l’opzione nucleare, non tanto (o non solo) per questioni green, quanto per motivi strategici ed industriali, per salvaguardare gli interessi del proprio Paese. Lo stesso vale per Trump.
Dubito però che lo abbiano fatto perché hanno letto il rapporto Draghi o sentito le sue recenti dichiarazioni o del presidente di Confindustria Orsini.
Possiamo sperare che qualche “laburista” (e non) in Italia e qualche politico “di razza” in Europa facciano altrettanto? Magari sotto la spinta di stakeholder “di peso” (industriali, magari pure sindacati)?
Temo che l’auspicio sia l’unica azione che ci rimane.
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