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Home » Cronaca » MATERNITÀ SURROGATA/ Perché vìola i diritti umani: così l’Italia difende la donna all’Onu

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MATERNITÀ SURROGATA/ Perché vìola i diritti umani: così l’Italia difende la donna all’Onu

Paola Binetti
Pubblicato 10 Ottobre 2025
Assemblea generale dell'Onu (Ansa)

Assemblea generale dell'Onu (Ansa)

Oggi, dopo che all’Onu la relatrice Reem Alsalem avrà illustrato il suo rapporto, Roccella spiegherà la legge italiana contro la maternità surrogata

La relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne, Reem Alsalem, ha redatto un rapporto nel quale afferma che la maternità surrogata – in tutte le sue forme – costituisce una violenza contro le donne e i bambini. Il rapporto, trasmesso al Segretario generale e all’Assemblea delle Nazioni Unite, sarà discusso in plenaria oggi, venerdì 10 ottobre 2025.


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Eugenia Roccella, ministra italiana per la Famiglia, interverrà in questa occasione all’Assemblea e presenterà la legge italiana che rende la maternità surrogata un reato universale, perseguibile anche se commesso all’estero; una norma che ha suscitato un ampio dibattito sia a livello nazionale che internazionale.


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L’intervento della Roccella si inserisce in un contesto di crescente attenzione internazionale sulla maternità surrogata, con l’ONU che riconosce il modello italiano come esempio nella lotta contro questa pratica. La maternità surrogata in Italia è espressamente vietata dalla legge 40/2004 e dal dicembre 2024 la legge 169 la considera reato universale.

L’Italia avrà quindi un ruolo centrale nel dibattito internazionale sulla maternità surrogata e attraverso la ministra Roccella proporrà la nostra legislazione come modello da seguire. Il “modello italiano” vale come esempio di normativa proibitivista.


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Nel frattempo, l’Unione Europea sta discutendo una proposta di regolamento che stabilisca regole minime per il riconoscimento della filiazione nei casi di surrogacy tra Stati membri. È anche in corso il “Parentage / Surrogacy Project” dell’Hague Conference on Private International Law, che esplora uno strumento convenzionale sui casi transnazionali di surrogacy.

È interessante provare a chiedersi cosa potrebbe accadere dopo che il testo di Reem Alsalem sarà presentato all’Assemblea generale, con lo scopo di stimolare la discussione e invitare gli Stati membri a rispondere alle raccomandazioni contenute nel rapporto.

I Paesi interessati, tra cui l’Italia, interverranno sicuramente per sostenere la posizione proibizionista. Ci saranno dichiarazioni ufficiali, prese di posizione, alleanze tra Stati con visioni simili su diritti, etica e regolamentazione. Altri Stati potrebbero proporre risoluzioni che invitino a limitare la maternità surrogata o ad adottare norme minime di protezione.

In ogni caso, anche se non si arriverà a un trattato vincolante per tutti gli Stati membri, attualmente un forte voto simbolico o una pressione politica internazionale potrebbero spingere singoli Stati a cambiare le proprie leggi o ad aggiornare normative esistenti per allinearsi o contrapporsi alle raccomandazioni ONU. È probabile che il dibattito ruoti attorno a temi come il rischio di sfruttamento delle donne surrogate, soprattutto nei Paesi poveri; la mercificazione del corpo femminile; i diritti del bambino nato tramite surrogacy (origine, identità, filiazione); l’equilibrio tra il diritto alla procreazione e la protezione della dignità umana.

Quel che è certo è che si verificherà una forte polarizzazione fra Paesi e movimenti che ritengono la surrogacy incompatibile con i diritti umani, e altri che la considerano una forma lecita di assistenza riproduttiva se ben regolamentata.

Ci auguriamo che prevalga una visione della maternità surrogata come una vera e propria forma di violenza contro le donne anche perché nel diritto internazionale violenza contro le donne non significa solo aggressione fisica, ma include anche forme di sfruttamento, coercizione economica o strumentalizzazione del corpo femminile. La stessa Convenzione di Istanbul (art. 3) e la CEDAW (Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna) considerano violenza tutto ciò che compromette la dignità o l’integrità fisica e psicologica della donna e riduce la donna a mezzo per un fine altrui.

Eugenia Roccella, ministro della Famiglia nel governo Meloni (Ansa)

Nella surrogazione di maternità, il corpo della donna viene utilizzato per produrre un bambino per altri e la donna surrogata diventa uno strumento nel processo riproduttivo, non un soggetto con diritti autonomi; il suo corpo viene “contrattualizzato”, inserito in un rapporto economico e giuridico che stabilisce tempi, comportamenti, restrizioni, obblighi medici e perfino emozionali e ciò riduce la libertà riproduttiva della donna, anche se formalmente “consenziente”. Molte femministe definiscono questo come una forma moderna di “colonialismo riproduttivo” o “mercificazione del corpo”.

Molto forte è il rischio di sfruttamento economico, soprattutto nei Paesi poveri o in via di sviluppo, perché le donne che accettano di portare avanti una gravidanza per altri lo fanno per necessità economica, in contesti di disuguaglianza, spesso senza piena consapevolezza legale o sanitaria.

In queste condizioni, il “consenso” è giuridicamente viziato, perché la scelta non è libera ma dettata dal bisogno. L’ONU, l’OMS e Amnesty riconoscono che la povertà e la dipendenza economica possono trasformare una transazione in una forma di coercizione. Molte donne che accettano di fare da madre surrogata raccontano la loro sofferenza emotiva per la separazione dal bambino; il loro senso di colpa o di “svuotamento”; ma anche l’impossibilità di revocare il consenso una volta iniziata la gravidanza (in alcuni contratti è vietato persino decidere su aborto o parto cesareo). Sono tutti elementi che configurano una forma di violenza psicologica o strutturale, in cui la donna perde il controllo sul proprio corpo e sulle proprie decisioni.

La logica della surrogacy commerciale, anche se sembra apparentemente “libera”, crea un mercato del corpo femminile e dei neonati, dove il valore della donna dipende dalla sua fertilità, età o salute, la gravidanza diventa un servizio acquistabile, la relazione madre-bambino viene trattata come un contratto di fornitura.

Secondo la Pontificia Accademia per la Vita e la stessa Relatrice ONU Alsalem, questa mercificazione riproduce le stesse dinamiche di dominio che i movimenti per i diritti delle donne cercano di superare. Evidentemente ci sono anche le argomentazioni contrarie di chi non considera la surrogata una forma di violenza, ma un atto di libertà e solidarietà femminile e chi difende la surrogacy afferma: “Se una donna sceglie liberamente di aiutare un’altra persona ad avere un figlio, dov’è la violenza?”.

In realtà la libertà formale non basta se il contesto economico o culturale è diseguale; le relazioni di potere (fra chi paga e chi porta la gravidanza) impediscono una vera simmetria; e anche nella surrogacy altruistica, la pressione emotiva o sociale può rendere la “scelta” non completamente libera.

In conclusione, le decisioni ONU non sono vincolanti e ogni Stato resta libero di accettarle o meno nel suo ordinamento. È certamente difficile ottenere consenso mondiale su un tema così eticamente e culturalmente divisivo, tanto che le normative nazionali variano enormemente: alcuni Paesi vietano la surrogacy, altri la regolamentano e trovare un punto di incontro comune è complesso.

I trattati internazionali richiedono generalmente tempo, negoziazioni, ratifiche nazionali. Domani è probabile che si svolga la presentazione del rapporto ONU e che si apra un dibattito in Assemblea generale o in sessione plenaria. Molto probabilmente non si arriverà a un trattato vincolante in un solo giorno, ma potrebbe emergere una risoluzione simbolica, una serie di raccomandazioni e un forte appello politico internazionale.

Certamente il ruolo dell’Italia sarà fondamentale per chiarire principi e valori in gioco e Roccella saprà ben evidenziare i limiti di una pratica che è e appare come una vera e propria forma di violenza fisica, psicologica ed economica nei confronti delle donne. Non esiste una surrogacy etica o altruistica, ma solo una surrogacy commerciale sfruttatrice, con abusi e coercizione, per cui va assolutamente proibita a tutela delle donne più fragili e più esposte a questa pesante manipolazione, come propone la legge italiana.

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