Trump chiede una deroga per le aziende americane sulle norme ambientali europee. La UE dovrebbe cambiarle, ma ora non può cedere agli USA
Non gli è bastato imporre dazi al 15% alle merci europee che varcano il confine USA. Ora Trump (tornato alla carica anche con la Cina imponendo l’aumento del 100% delle tariffe contro le restrizioni di Pechino al commercio delle terre rare) vuole che la UE non consideri valide per le aziende americane che operano in Europa le norme ambientali che ha già imposto a quelle europee.
Tutte norme, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, che in realtà Bruxelles farebbe bene a rivedere perché penalizzano le imprese del Vecchio continente, ma che ora sarebbe meglio non toccare per non darla vinta al presidente USA. Il pericolo, infatti, è che subito dopo alzi ancora la posta facendo richieste ancora più pesanti all’Europa.
La UE deve rendersi conto che i rapporti con gli Stati uniti sono cambiati e che deve guardare ad altri mercati, quello dell’Asia, ma anche l’Africa. Il legame commerciale con gli Usa non deve essere spezzato, ma vanno allargati gli orizzonti.
Gli USA hanno chiesto alla UE di esentare le aziende americane dal rispetto delle normative ambientali previste dalla legislazione europea. Di togliere, insomma, i “dazi climatici”, i requisiti Cosiddetti Csddd. Da dove nasce questa richiesta?
Nella dinamica trumpiana è una richiesta logica. E non riguarda soltanto il tema ambientale, ma anche quello digitale: il presidente USA vorrebbe che venissero azzerati anche il Digital Market Act e Digital Service Act, sostenendo che l’Europa sta ostacolando le imprese americane usando la leva della normativa. Da questo punto di vista il ragionamento è sbagliato perché le norme europee non sono rivolte alle imprese americane, ma a tutto il mondo.
Come deve rispondere la UE?
Non condivido quello che sta facendo Bruxelles sul fronte ambientale, perché sta penalizzando le imprese europee sottoponendole a un oggettivo svantaggio comparato rispetto ad altri Paesi fuori dall’Unione. Se le togliesse in questo momento, però, assecondando le richieste di Trump, gli Usa alzerebbero ancora la posta e chiederebbero di più. Da un punto di vista negoziale l’Europa ha a che fare con un attore che conosce solo il linguaggio della forza: se molla rischia che il giorno dopo Trump metta i dazi al 50%. Paradossalmente, la UE farebbe un favore a se stessa togliendo certe norme, ma non deve farlo adesso perché con gli Stati Uniti sarebbe controproducente.
La prima risposta europea, arrivata per bocca del vice portavoce della Commissione Olof Gill, è stata negativa, ma nel recente accordo sui dazi al 15% si parlava di un impegno europeo rispondere alle preoccupazioni USA sui requisiti ambientali delle aziende. Ora rischiamo una nuova stretta di Trump sulle tariffe?

Quella prevista nell’accordo era probabilmente una formula ambigua per trovare un compromesso, ma l’Europa non può prestare il fianco a certe richieste. Con Trump non è mai finita: nel momento in cui percepisce che può guadagnare di più, rimodifica l’accordo. Per questo le sue istanze non vanno assecondate.
Una risposta negativa da parte dell’Europa, comunque, non è detto che inneschi per forza una reazione americana: ci sono segnali di imprese che cominciano a fallire, stanno aumentando i prezzi, a Trump non conviene riaprire lo scontro, anche se vista l’imprevedibilità del personaggio, che lo porta anche a fare cose molto positive come l’accordo per Gaza, è difficile entrare nella sua testa.
Tra USA e UE è ancora aperto il capitolo dazi. Quando si chiuderà definitivamente l’accordo?
Con Trump non sarà mai finita. Gli accordi di questo tipo sono sviluppati in centinaia di pagine, ci vogliono mesi o anni per definirli: stanno ancora discutendo. Quando il presidente americano vede che c’è qualcosa che non va torna alla carica per aumentare i dazi. Non stiamo parlando con un interlocutore che ragiona secondo i canoni diplomatici tradizionali. Saremo costretti a una perenne negoziazione.
Di fronte a questo quadro l’Europa in prospettiva come dovrà muoversi?
Credo che l’Europa non abbia molte chance, se non quelle di prendere coscienza che il rapporto con gli Stati Uniti è strutturalmente cambiato. E questo indipendentemente da Trump. Bisogna stare sempre all’erta con l’interlocutore USA, ma allo stesso tempo prendere coscienza che siccome l’Europa è un continente esportatore deve allargare la sua base di influenza: dobbiamo avere più grip rispetto ad aree come Cina e Asia. Siamo partiti con l’India ma non c’è sufficiente ritmo.
La UE deve capire l’importanza strategica di allargare significativamente la base del mercato. Poi deve chiedersi se il piano Draghi è un esercizio retorico o se vuole portarlo avanti. E guardare a un continente emergente come l’Africa.
A lungo andare l’Europa deve andare verso un decoupling rispetto agli Stati Uniti?
No, sarebbe sbagliato: bisogna prendere coscienza che i nostri obiettivi possono essere anche significativamente diversi rispetto a quelli americani, ma il decoupling è impossibile. Come è sbagliato allontanarsi dalla Cina, perché è un mercato importante, allo stesso modo sarebbe letale abbandonare gli Stati Uniti. Però dobbiamo renderci conto che gli USA non sono più quelli di 15 anni fa.
(Paolo Rossetti)
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