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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Dagli orrori dello stalinismo al disgelo, il popolo russo di Irina Scherbakova

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LETTURE/ Dagli orrori dello stalinismo al disgelo, il popolo russo di Irina Scherbakova

Chiara Pajetta
Pubblicato 17 Ottobre 2025 - Aggiornato alle ore 06:27
Irina Scherbakova, premio Nobel per la pace 2022, partecipa all'evento "Guerra e pace nel XXI secolo. La Russia di Putin e l'invasione dell'Ucraina. Come ricostruire la pace in Europa?" a Milano, 18 maggio 2023. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Irina Scherbakova, premio Nobel per la pace 2022, partecipa all'evento "Guerra e pace nel XXI secolo. La Russia di Putin e l'invasione dell'Ucraina. Come ricostruire la pace in Europa?" a Milano, 18 maggio 2023. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Nel romanzo "Le mani di mio padre" Irina Scherbakova (Nobel) ripercorre la storia dell’URSS attraverso le drammatiche vicende della sua famiglia

Ha vinto con pieno merito la XII edizione del premio Friuli Storia il saggio (in realtà è un romanzo) Le mani di mio padre (Mimesis, 2024), in cui la storica e germanista Irina Scherbakova intreccia le vicende della Russia del secolo scorso con quelle della propria famiglia. Una famiglia qualunque? Niente affatto, perché dal 1924 al 1945 i nonni e la madre di Irina vissero in due stanze del celebre Hotel Lux, l’albergo del Comintern (l’Internazionale Comunista) a due passi dal Cremlino, dove alloggiarono i segretari dei partiti comunisti mondiali. Sua madre era in classe con “le due Svetlana”: la figlia di Stalin e quella di Molotov.


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A contatto col potere sovietico, dunque, e vicinissimo alle sue decisioni che, dall’agosto del 1937 al novembre 1938, suscitarono la tempesta di odio e sangue che portò in carcere un milione e mezzo di cittadini e ne fece fucilare 700mila. Quegli anni terribili sono rappresentati dall’autrice attraverso la descrizione del panico dei nonni Jakov e Mira, che trascorrono notti insonni al Lux o nella dacia fuori Mosca, temendo di cadere anche loro nella rete assassina.


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Eppure i due giovani comunisti, seguaci di Stalin, cercavano di comprendere il senso di quegli arresti di massa. O tentavano di “spiegarsi” e quasi giustificare i processi-farsa con capi d’accusa inverosimili, soprattutto quando erano coinvolti loro amici o importanti funzionari di partito ben più fedeli e convinti di loro.

Anche Naja, la madre di Irina, privilegiata grazie al ruolo del padre, viveva nell’angoscia: temeva di perdere i genitori e di essere rinchiusa in orfanotrofio, destino comune ai “figli dei nemici del popolo”. Invece il nonno, sempre più sconvolto e stremato dalle stragi dello stalinismo, ebbe “la fortuna di morire a casa”, a 63 anni, dopo la scomparsa del dittatore, avvenuta nel 1953.


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Un uomo, nonno Jakov, che per vent’anni aveva lavorato ai vertici del partito, riuscendo a scampare al carcere e al gulag: evento davvero raro tra i bolscevichi della prima ora e dell’era di Stalin, sorte che condivise solo con Kruscev, che morì da pensionato nella sua dacia presso Mosca, benché fosse un sorvegliato speciale del KGB.

Ma come si spiega questa fortuna? Per la storica Scherbakova, che la sua famiglia sia riuscita a sfuggire al “tritacarne” del terrore staliniano è stato un puro caso, perché a suo avviso è “la più assoluta casualità il motore che fece girare la mostruosa macchina azionata dallo stalinismo”.

In effetti, come scrive, “il terrore fu sempre il meccanismo principale del potere di Stalin, e nel corso del tempo fu usato contro varie categorie di cittadini sovietici e stranieri”, ma in realtà quell’intero sistema autoritario somigliava terribilmente a “una gigantesca, oscena lotteria”. Tutti indistintamente potevano finire in una cella di isolamento della Lubjanka, o languire decenni in un gulag, senza vere motivazioni, con le accuse più incredibili.

La conclusione amara della Scherbakova è implacabile: “In questo consisteva il senso del terrore staliniano: era una lotteria, chiunque poteva diventare vittima – l’onnipotente membro del Politburo così come l’ultimo fanalino del partito”.

9 novembre 1989, a Berlino cade il Muro che divide Est e Ovest (Ansa)

Ma per i nonni della scrittrice tutto questo era incomprensibile. Come riporta il loro diario, Jakov e Mira nella Rivoluzione del 1917 avevano creduto profondamente, perché da ventenni di famiglie ebraiche avevano potuto lasciare i piccoli villaggi dell’Ucraina e sperimentare le libertà civili e politiche sconosciute nei secoli bui dello zarismo. La rivoluzione comunista aveva permesso loro di iscriversi a licei e università fino ad allora negati agli ebrei. Così Jakov diventò caporedattore della Polesskaja Pravda e in seguito ebbe accesso alle più alte stanze del potere centrale.

Con la morte del dittatore finirono le “purghe”, ma la sua uscita di scena non fu indolore: nell’orribile calca che seguiva il feretro morirono in centinaia, forse migliaia di persone (il dato preciso delle vittime non si conosce, perché furono sepolte segretamente). Anche se a partire dal 1953 spariscono immediatamente dai manuali scolastici tutti i riferimenti al “Capo, Maestro, amico di tutti i lavoratori” e scompaiono i suoi busti e le statue da piazze, stazioni e metrò, solo nel 1956, al XX Congresso del PCUS, Kruscev sancirà la condanna e la fine del culto della sua personalità.

Perciò Irina si considera fortunata per essere cresciuta negli anni del “disgelo”. E descrive con semplicità la gioia di una bambina di 8 anni che vede alla fine degli anni 50 una Mosca più “colorata”. Ma dovrà poi scoprire nuove menzogne: quelle dei racconti sul secondo conflitto mondiale a cui aveva partecipato anche suo padre, tornando dal fronte con solo due dita della mano destra.

Ci riferiamo alla retorica della “Guerra patriottica nazionale” (ancor oggi adottata spudoratamente da Putin), che non tiene conto del tremendo massacro dei soldati russi, sottolinenando solo la versione esaltata della vittoria sovietica sul nazismo. Per la Scherbakova è fondamentale ricostruire “la verità delle trincee”. Così come è necessario raccontare le storie terribili dell’antisemitismo in Russia, dai pogrom zaristi alle persecuzioni del regime stalinista e degli anni 50 e 60. È la letteratura, per esempio con le opere coraggiose di Solzenicyn, ad aprire inoltre uno squarcio sul buio dei Gulag, appassionando Irina al punto da spingerla a raccogliere la testimonianza dei superstiti.

Decine di sue interviste hanno costituito così il primo deposito di memoria negli archivi di Memorial (organizzazione russa in difesa dei diritti umani, di cui è stata tra i fondatori), arricchito poi con la documentazione degli archivi del KGB, aperti grazie alla perestrojka di Gorbaciov: una sorta di banca dati delle vittime del terrore e insieme una possibilità di riabilitazione dei condannati.

È questo in fondo lo scopo della ricostruzione storica della Scherbakova. Ma purtroppo dal 2022 ogni attività di Memorial è stata vietata da Putin. Per questo Le mani di mio padre è oggi una lettura ancor più preziosa anche per preservare la libertà di ricordare ciò che veramente è accaduto.

“Le mani di mio padre”, vincitore del “Friuli Storia”, verrà premiato il 25 ottobre alle 17.30 presso l’auditorium del Centro Culturale delle Grazie (via Pracchiuso 21, Udine). L’autrice Irina Scherbakova terrà una lectio dal titolo “La mia vita attraverso l’Unione Sovietica”.

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