Una recente indagine restituisce una fotografia accurata dei docenti italiani. Una compagine che tiene in piedi la scuola, ma a caro prezzo
Un’ampia indagine dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con Bolton for Education Foundation e Istituto IARD, giunta quest’anno alla quarta edizione (1990, 1999, 2009, 2025) ha raccolto le voci di quasi 10mila insegnanti italiani. È una delle fotografie più complete di chi, ogni giorno, tiene in vita la scuola.
Ne emerge un ritratto sorprendente: una categoria stanca, ma ancora profondamente legata al proprio mestiere. Insegnanti che, nonostante la fatica e la scarsa considerazione sociale, continuano a credere nella propria missione educativa. Quasi 9 su 10 rifarebbero la stessa scelta professionale. Eppure, l’84% ritiene che il prestigio del ruolo sia diminuito e 1 su 6 teme che continuerà a calare.
Amare il proprio lavoro, ma sentirsi invisibili: è questa la contraddizione che attraversa la scuola italiana. Gli insegnanti trovano soddisfazione nel contatto con gli studenti, nella collaborazione con i colleghi, nel dialogo con le famiglie. Si sentono parte di un progetto collettivo: educare, accompagnare, costruire cittadinanza. È questo senso di funzione pubblica – più ancora del guadagno – a dare significato al loro lavoro. Ma dietro la dedizione si nasconde un malessere crescente.
Un’altra ricerca della stessa università, secondo i dati emersi dall’indagine dell’Osservatorio sul Benessere dei Docenti (2024), racconta una realtà segnata da stress e logorio psicologico. Quasi la metà dei docenti manifesta sintomi di burnout; oltre il 4% si trova in uno stato di esaurimento totale.
Non è un problema individuale, ma strutturale: la scuola si regge spesso su chi si spende oltre ogni misura. Gli insegnanti fanno da psicologi, mediatori, assistenti sociali e burocrati. Senza formazione specifica, senza tempo, e con stipendi tra i più bassi d’Europa. Un docente di scuola media guadagna in media poco più di 1.500 euro al mese: meno della metà di un collega tedesco o francese. Eppure le scuole continuano a funzionare, grazie a chi ogni mattina entra in classe e tiene insieme un sistema che rischierebbe di crollare.
È un equilibrio fragile, sostenuto da passione, senso del dovere e una realtà spesso sottovalutata: la scuola italiana è, in larga parte, un lavoro femminile: oltre l’80% del corpo docente è composto da donne. Un dato che racconta molto del Paese.
In un sistema di welfare carente, dove i servizi per l’infanzia non coprono il fabbisogno, insegnare diventa una delle poche professioni compatibili con la vita familiare. Non sempre per vocazione, ma per necessità. Gli orari regolari, le ferie estive, la stabilità del posto permettono di organizzare il tempo domestico e compensare le carenze pubbliche.

Dietro ogni maestra o professoressa c’è spesso una doppia vita: quella della professionista della conoscenza e quella della donna che tiene insieme casa, figli e lavoro.
La scuola, così, diventa un welfare parallelo, sorretto da una rete di donne che supplisce alle mancanze dello Stato. Un matriarcato gentile, costruito sulla cura e sulla dedizione personale. Intanto, il mestiere dell’insegnare cambia.
Cresce la consapevolezza dell’importanza delle competenze relazionali e psicopedagogiche: oggi la maggioranza dei docenti le considera centrali. La scuola non è più solo trasmissione di saperi, ma spazio di ascolto, accoglienza e comprensione. Empatia, pazienza e attenzione alle fragilità dei giovani sono diventate parte integrante della professione.
È una trasformazione silenziosa, ma profonda, che testimonia la capacità degli insegnanti di evolversi insieme alla società, restando fedeli al proprio ruolo educativo. Il prezzo, però, resta alto.
Quasi un insegnante su 2 si sente sopraffatto dai carichi di lavoro, dalle continue riforme, da una burocrazia che soffoca la creatività. Eppure la maggior parte non abbandonerebbe mai la scuola. Per molti, insegnare non è solo un impiego, ma una forma di responsabilità civile, un modo di restare dentro la società, credendo ancora nella possibilità di cambiare qualcosa. Felici ma esausti. Indispensabili ma dimenticati. Stabili ma impoveriti.
Il docente italiano rappresenta la parte più fragile e insieme più tenace del Paese: quella che continua a sostenere il sistema educativo con la sola forza dell’impegno personale.
Nella loro dedizione quotidiana, tra registri digitali, classi difficili e stipendi modesti, gli insegnanti custodiscono ancora un principio antico ma essenziale: che l’educazione sia la più alta forma di cura pubblica. La scuola, in fondo, è lo specchio dell’Italia.
Un luogo dove la passione individuale tiene insieme ciò che le istituzioni non riescono più a garantire.
È il cuore silenzioso del Paese: fatto di donne e uomini che, ogni mattina, varcano la soglia di un’aula e continuano a credere che insegnare possa ancora cambiare il mondo – o almeno un frammento di esso.
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