TERRA SANTA/ La sfida del Papa

Impossibile non esserne consapevoli. Il viaggio di Benedetto XVI rappresenta un passaggio storico nei rapporti tra le religioni monoteistiche

Impossibile non esserne consapevoli. Il viaggio di Benedetto XVI rappresenta un passaggio storico nei rapporti tra le religioni monoteistiche.

Anche se potranno rimanere, tra ebrei, cristiani e mussulmani, punti di frizione su particolari tematiche, il Pontefice ha lanciato al mondo, da Gerusalemme, un messaggio di forza formidabile che va interpretato con onestà e positività, cercando di valorizzare più ciò che unisce, rispetto a ciò che ben potrà continuare a dividere.

L’impressione è quella che Benedetto XVI non abbia voluto nascondersi, non abbia voluto fare sconti a nessuno. Non è più il momento di farlo, probabilmente, in un mondo malato, dove relativismo morale e strumentalizzazione criminale del nome di Dio rappresentano mali di dirompente gravità.

Quando l’umanità soffre, quando la religiosità ed il diritto di appartenere sono minacciati, quando la libertà dell’individuo di essere se stesso rimane troppo spesso un miraggio irrealizzabile nel tessuto sociale, non è più ammissibile nessuna ritrosia.

Certo, nel dialogo interreligioso potrà permanere qualcosa che divide, che lascia perplessi, soprattutto, se si vorrà privilegiare una valutazione delle parole del Papa di natura teologica o strettamente confessionale.

La questione posta da Benedetto XVI è, però, un’altra e di più elevato spessore concreto, perché nasce da un’affermazione di metodo di straordinaria importanza che permette di superare e di mettere da parte, nella quotidianità delle nostre vite individuali e collettive, possibili incomprensioni.

Non è sufficiente, secondo il Pontefice, un dialogo interreligioso teorico, limitato alla sfera teologica. La condivisione, invece, l’unità di intenti, la partecipazione ad una sfida comune, potrà esserci nell’azione, nel fattivo impegno religioso nella società.

Coloro che confessano il nome di Dio “hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrensicamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.

Le fedi monoteistiche, secondo il Pontefice, di fronte al dramma del relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana, devono assumere un ruolo da protagonista, abbandonando ogni tendenza alla autoghettizzazione e al conflitto. Dalla spianata delle Moschee, dal Muro del Pianto, Benedetto XVI ha sottolineato quanto sia importante superare le divisioni del passato, realizzando forme di dialogo operativo in grado di costruire un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.

Alla base del dialogo interreligioso dovrà esserci rispetto, accettazione delle diversità di impostazioni e sensibilità. E, soprattutto, dovrà esserci il comune impegno per tutelare la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società giusta.

Ecco, è questo il messaggio che Benedetto XVI ha voluto lanciare all’umanità e che trova “naturalmente” in piena sintonia le fedi abramitiche.

Un messaggio che, prima di tutto, impegna gli uomini di fede. Senza timidezze, senza nascondimenti, bisogna essere consapevoli che la religiosità deve sempre più diventare soggetto protagonista di civiltà. Ogni uomo di fede è responsabile davanti a Dio, è consapevole di essere oggetto dell’attenzione di Dio, di essere prezioso ai suoi occhi.

Questo vale sotto ogni profilo, allorché si verifichino tragedie, quando sia necessario prevenirle, nei casi in cui l’umanità richieda prese di posizione forti rispetto a temi essenziali per tutti.

E’ finita l’epoca in cui le identità forti, le appartenenze religiose potevano permettersi di vivere rinchiuse nel loro recinto. Il laicismo che permea, subdolamente e con sempre maggiore forza devastatrice, la nostra struttura sociale e culturale chiama gli uomini di fede ad un impegno comune.

La base di questo lavoro condiviso è l’affermazione costitutiva della centralità della persona.

Il singolo non è riducibile a soli valori collettivi, egli stesso rappresenta un valore assoluto: la specificità dell’anima umana, la singolarità dei suoi attributi costituisce insieme il rischio e il valore dell’individuo. Come tale l’uomo è posto di fronte all’Eterno, non come modello impersonale. Dio vuole dall’uomo l’attuazione della sua singolare irripetibilità, non l’adeguamento acquiescènte a uno schema collettivo.

La missione di ogni uomo di fede è, quindi, quella di portare nel mondo la concezione della sacralità della singola ed irripetibile vita umana. Ogni uomo è un valore in sé. E l’educazione, cioè la libera possibilità di formarsi nel rispetto dei propri valori e delle proprie scelte culturali (e religiose), costituisce la grammatica fondante di una società inclusiva, giusta e pacifica.

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