L’ultima chiamata

All’indomani delle elezioni regionali l’euforia della vittoria (e l’analisi della sconfitta) deve lasciare posto alla riflessione. Il commento di Maurizio Lupi

All’indomani delle elezioni regionali l’euforia della vittoria (e l’analisi della sconfitta) deve lasciare posto alla riflessione. E la prima riflessione che dobbiamo fare, come politici di centro destra e di centro sinistra, è quella sull’astensionismo. Il dato è macroscopico e preoccupante. 7-8 punti in più rispetto alle regionali del 2005 suonano come un segnale d’allarme che chiede a tutta la classe politica una risposta immediata, se non vuole perdere ulteriore credibilità.

Ha ragione chi dice che la gente si è mostrata disinteressata al governo della propria regione. Il caos delle liste in Lombardia e Lazio è certamente servito ad allontanare molti cittadini, instillando in loro la convinzione che la politica sia al di sopra della legge.

Ma la battaglia delle liste non è stata la sola a diffondere disillusione e cinismo. È stata il punto culminante di un modo di fare politica contro il “nemico” Silvio Berlusconi, e non per i cittadini e al servizio delle istituzioni. Ecco perché queste elezioni regionali suonano come l’ultima chiamata per riportare tutti alla responsabilità di governo della politica.

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Dispiace che l’astensionismo abbia «sfiduciato» proprio le regioni, strumento principale dell’attuazione di quel federalismo fiscale che cambierà profondamente la gestione della cosa pubblica nei prossimi anni, mettendo la politica al servizio e sotto il diretto controllo dei cittadini.

Quegli stessi cittadini che con la loro astensione hanno voluto mandare due segnali: il rifiuto di questa politica rissosa e la fiducia in Berlusconi. Pensare che lo si possa sconfiggere per vie diverse da quella della volontà popolare, facendo ricorso alle aule giudiziarie, colloca la politica al di fuori della democrazia.

Ma anche questa volta gli elettori hanno scelto liberamente di premiare la coalizione di governo. L’opposizione tenterà di dimostrare che sarà la Lega a dettare l’agenda di governo, ma si sbaglia, perché la Lega non solo cresce – come è stato notato – perché è in grado di fare una proposta comprensibile ai cittadini, ma anche perché è alleata del Pdl. Il nostro augurio invece è che il Pd possa diventare una forza politica realmente riformatrice, che la smetta di seguire Di Pietro e che possa avviare con la maggioranza un confronto sincero sulle riforme.

E’ vero però che questa stessa maggioranza ora non ha più alibi. Con tre anni senza elezioni si deve mettere a punto quel processo di riforme del paese che è ormai ineludibile: la giustizia, il fisco, la scuola e l’università sono la vera grande scommessa ancora da vincere.

 

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