Il sacrificio di Violetta

Per MARCO RUFFINI, si può morire senza essersi appassionati alla musica di Verdi, ma non si muore senza aver vissuto il dramma di amare e di essere amati raccontato nella Traviata

Sono quattro anni che “porto in giro” la Traviata di Verdi per l’Italia: più di venti serate davanti a studenti di ogni età, famiglie, platee miste. So in partenza che la serata sarà sempre un successo, non certo per la mia bravura, ma per i grandiosi contenuti dell’opera. E ogni sera riscopro ciò che mi ha insegnato don Giussani, ovvero che il genio, oltre a descrivere mirabilmente la verità della natura umana, è sempre profeta di Cristo. Recentemente sono stato in una scuola media a indirizzo musicale di una cittadina della Romagna. Avevo di fronte due classi terze: è stata una scommessa. La loro professoressa ha introdotto il momento facendo riferimento ai festeggiamenti per il bicentenario verdiano.

Guardando quelle belle facce, pulite e brufolose, furbe, alcune già disilluse, pensavo che a quei ragazzi non importasse un granché del compleanno del genio di Busseto. Così li ho incalzati fin da subito: «Non preoccupatevi: si può morire senza essersi appassionati alla musica di Verdi! Ma non si muore senza aver vissuto il dramma di amare e di essere amati. Per questo sono venuto a presentarvi alcuni spezzoni della Traviata». «O gioia ch’io non conobbi, essere amata amando»: il grido di Violetta, rapita per la prima volta da un amore gratuito che la spingerà a ricambiare con un atto di estremo eroismo, fa da fil rouge all’itinerario dell’amore vero che Verdi e il suo librettista tratteggiano tra arie e cori. Quei ragazzi di terza sono rimasti incollati tutto il tempo. Scommessa vinta! Non sono un fanatico di cantanti ed interpretazioni, ma solo un appassionato di musica e di tutto ciò che riguarda l’uomo, in missione tra gli studenti universitari bolognesi, con cui passo molte delle mie giornate.

Il tour dedicato alla storia d’amore tra Violetta ed Alfredo è nato proprio dalle conversazioni con loro, per guardare assieme in atto il vertice dell’amore che è il sacrificio di sé per il bene dell’altro. Nell’opera di Verdi, così mal conosciuta, c’è questo e c’è molto di più. È di una straordinaria attualità, come dimostrano queste righe scritte da una liceale il giorno dopo aver scoperto le pene d’amore della sua “nuova amica” parigina: «Sono un’anarchica inquieta, con una domanda che mi esplode nel cuore ma nessuna acqua in grado di dissetarla… pare. Ripensando alla Violetta di ieri, io ne capisco molto bene alcuni tratti perché li ritrovo identici in me…

Follia credere in un amore infinitamente grande da poter racchiudere il cielo, in una tenerezza che permane nel tempo e nello spazio nonostante tutto e nonostante me. Follia. Credere alla loro esistenza inevitabilmente porta ad uno scontro con l’ostinata realtà vincitrice, e la caduta è pesante, dolorosa, impietosa sul cuore… Non è forse meglio prendere piccoli pezzi di vita, cosciente che non saranno né definitivi né veri fino in fondo, ma che creano un po’ di quel fumo negli occhi che per un po’ ti fa sentire bene? Vano il sacrificio di Violetta? O unica scelta possibile per non tradire sé e il bene che finalmente ha incontrato e riconosciuto? Questa la domanda ultima che alberga nella mia testa da ieri sera e dalla quale sono prepotentemente richiamata alla realtà…».

 

Un amore straordinariamente attuale, affascinante per ogni generazione che desidera voler bene all’amata «come le ama Dio», per usare le parole di Claudio Chieffo, con cui introduco la serata. Forse è per questo che è sempre attuale. Il sovrintendente del teatro Comunale di Bologna, una volta, me lo ha detto a modo suo: «L’opera non è un patrimonio che ci è stato lasciato in eredità e che noi dobbiamo trasmettere alle giovani generazioni. È un prestito che le giovani generazioni ci stanno facendo!».

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