Terzo settore: riforma, non tagli

La riforma è partita con un tweet con il quale Matteo Renzi annunciava la pubblicazione delle Linee guida per la Riforma del Terzo Settore. E adesso? Il commento di MONICA POLETTO

La riforma è partita con un tweet con il quale Matteo Renzi annunciava la pubblicazione delle Linee guida per la Riforma del Terzo Settore. È una riforma necessaria, e l’avvio del suo iter richiedeva un intervento fulmineo, come è stato.

È molto interessante la grande valorizzazione del non profit – chiamato Primo Settore – che il documento propone, insieme al desiderio di dare giusto riconoscimento e adeguato impianto normativo alla realtà “che dà forma e sostanza ai principi costituzionali di solidarietà e sussidiarietà”.

Il mondo del Terzo Settore in questi anni ha dimostrato carattere, sopravvivendo a un sistema di regole pasticciate e non coordinate che avrebbero stremato gli imprenditori più capaci, scontando le inefficienze del sistema pubblico – soprattutto in materia di ritardo di pagamenti e contrazione delle risorse – e allo stesso tempo permettendo a tanta parte del nostro Paese di non soccombere sotto il peso della crisi economica e umana che ci ha colpiti.

Era dunque necessario che si decidesse di affrontare – organicamente – la sua riforma, innanzitutto mettendo mano, come le Linee guida propongono, alla disciplina dei soggetti.

Pertanto è molto positivo che la delega sia ampia, che comprenda la rivisitazione del codice civile, delle categorie che devono essere coordinate (volontariato, Onlus, cooperazione sociale, impresa sociale e tutto il resto), dell’impostazione fiscale, all’insegna di una semplificazione e al contempo di oggettivazione delle norme, essendo le regole chiare il primo contributo alla libertà dei soggetti.

E, addentrandosi nel terreno impervio dell’aggiornamento della legge 328/2000, è altresì importante che la riforma porti ad un alleggerimento radicale degli aspetti burocratici, che sono un costo troppo pesante per il sistema, proponendo – laddove ciò sia possibile – valutazioni ex post e misurazioni il più possibile oggettive sulla effettiva utilità sociale che le azioni intraprese producono.

Per fare tutto ciò è certamente molto importante una conoscenza puntuale dell’attuale impianto normativo – sappiamo bene i danni che derivano da semplificazioni che non conoscono ciò che semplificano – ma soprattutto della estrema varietà e complessità del non profit italiano. Varietà che, oltre ad essere la nostra caratteristica, è sempre stata la nostra forza. 

In Italia, insieme a realtà che coinvolgono migliaia di stakeholders, che hanno un ruolo insostituibile nel nostro sistema di welfare, esistono enti di dimensioni limitate, ma fondamentali per il proprio territorio, cuori pulsanti di comunità; ci sono realtà che operano in regimi di convenzionamento con l’amministrazione pubblica, come associazioni che vivono delle erogazioni liberali donate dalle persone che le vogliono presenti e vive e del lavoro volontario dei propri amici. 

E cooperative sociali che si rivolgono al mercato, attuando la riscoperta della dignità umana di soggetti svantaggiati attraverso lo strumento del lavoro. Sono realtà che non sono nate per legge, ma da persone che hanno preso sul serio bisogni e desideri propri o altrui e vi hanno risposto con libertà, che è il fondamento di ogni riforma.

Il non profit italiano è tutto questo e sono questa varietà e capillarità che devono trovare uno spazio adeguato nella legislazione. Con una valorizzazione che nasce dalla conoscenza puntuale e dallo stupore per questa ricchezza di iniziativa che – come Araba Fenice – continua a rinascere dalle sue e nostre ceneri.

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