Nella riflessione sulla revisione della legge 23 e in generale del Ssr lombardo, per ciò che riguarda il territorio bisogna rispondere a questa domanda: chi è clinicamente responsabile del trattamento dei pazienti diciamo non ricoverati in strutture per acuti/subacuti e Rsa/Rsd?
L’ inclusione dei nuclei fragilità in Asst (con il governo di fatto delle attivazioni Adi, Rsa aperta, misure B1 eccetera) insieme alla tutela giuridica, l’implementazione di telemonitoraggio, televisita, l’incorporazione della figura dell’infermiere di famiglia e comunità in Asst, vanno nel senso di un governo del territorio da parte dell’ospedale/Asst. In questo senso la medicina generale (Mg) è destinata a essere inclusa negli elementi funzionali al governo del territorio. E allora è meglio esplicitarlo. Il rapporto Agenas spinge fortemente in questa direzione, e anche, se vogliamo, la stessa legge 23. Il cenno ai Distretti nel rapporto Agenas, anch’essi a governo Asst, in capo alla direzione socio-sanitaria, è un altro elemento che indica, così parrebbe, una direzione inesorabile.
Questo trend tende a spingere gli specialisti (soprattutto di alcune branche) a fare i Mmg, senza una visione complessiva del paziente, la cui ricognizione viene affidata al sistema e non al professionista medico. Credo che il buon senso faccia comprendere che specialisti, già ora oberati, non possono sostenere questo lavoro, se non sottraendo energia e tempo al loro compito specifico. A meno che non si decida di dare una impronta infermieristica alla gestione della cronicità, trasferendo uno dei compiti della Mg su altre figure professionali.
Il problema che si pone quindi è: esiste una realtà in atto strutturata, capillare, forte, clinicamente solidissima, fortemente attrezzata e flessibile, capace di valutazione multidimensionale, di pensare, strutturare e reggere interventi e percorsi per pazienti che vanno dalla quasi perfetta salute alla più drammatica e solitaria fragilità e cronicità, alternativa a questa gestione del territorio da parte dell’ospedale (in Lombardia Asst)?
Una tale realtà operativa necessita di identità professionale certa, solida struttura organizzativa, omogeneità metodologica e di formazione. Questo è oggetto di una decisione che in qualche modo non dipende dalla Mg, è una decisione di assetto di sistema e ideologica nel senso buono del termine, cioè dipende da un pensiero, da una idea sul sistema, sulla cura.
Le necessità che sono irrinunciabili perché questa realtà territoriale, terza rispetto ad altre agenzie e “avvocata” del paziente, esista, continui a esistere e cresca in sapienza e forza davanti agli uomini, sono semplici e facilmente attuabili:
1) formazione permanente di livello universitario per i Mmg operanti ed equiparazione della scuola di Mg alle altre specialità;
2) team con infermiere/figura di raccordo sociale e personale amministrativo per un numero adeguato di ore per ogni medico: queste risorse messe a sistema in gruppo consentono coperture assistenziali e di reperibilità molto estese ed efficienti; questa strutturazione consente di creare strutture ulteriormente complesse, dove possibile e necessario, ma anche di essere presenti flessibilmente dove questa complessità non si può strutturare, organizzando trasporti e percorsi di cura;
3) flessibilità nell’utilizzo di tutti quegli strumenti che già oggi consentirebbero di curare e prendere in carico in modo adeguato pazienti che si è costretti a ospedalizzare o istituzionalizzare (la rigidità dei criteri di appropriatezza per Adi , Rsa aperta eccetera e l’inevitabile lentezza degli assensi burocratici fa sì che esista lo strumento per molte situazioni, ma che non possa essere utilizzato) .
Tutte le innovazioni, dalla Pic (Presa in carico della cronicità) a telemonitoraggio, televisita e teleconsulto, eco fast, telerefertazione, sono strumenti, utili, in progresso inesorabile. Ma la domanda cruciale e ineliminabile è: chi è il soggetto della cura e della presa in carico sul territorio?
Il permanere della Mg richiede un indispensabile investimento di pensiero, culturale ed economico per un’adeguata strutturazione dell’assetto territoriale.
La decisione di fondo, però, è politica, in ultima analisi non della medicina generale stessa. Ai medici di medicina generale spetta il compito di un passaggio di consapevolezza, culturale, di azione, di unità e chiarezza di intenti, la disponibilità a un cambiamento che non si arrocchi nella difesa di interessi particolari, dando continuità a una tipologia di presa in carico e cura che ha radici lontane e profonde e una sua ineliminabile unicità.
La decisione spetta ai decisori.