Nella Comunità Pars ci si è preparati al Natale in un modo particolare, che può essere d'aiuto per ciascuno di noi
Nella Comunità Pars, cooperativa di assistenza a persone affette da tossicodipendenza, l’Avvento e il Natale sono occasioni per raccontarsi le esperienze personali di tanti inferni che hanno aperto a un insperabile sussulto di gioia.
Ci vuole coraggio o, meglio, una ferma certezza per invitare uomini e donne di una comunità terapeutica a prepararsi al Natale con la domanda: “Chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno?”. La comunità Pars, riunita nella quarta domenica di Avvento nel bel villaggio San Michele nelle Marche, ha lanciato questa sfida. Si tratta di una cooperativa di assistenza a persone affette da tossicodipendenza che da più di 20 anni opera nel territorio maceratese.
José Berdini ha aperto l’incontro con il testo del volantone di CL, riproponendolo a ciascuno dei circa 150 presenti tra ospiti della comunità, famiglie e operatori. A questa provocazione ha fatto seguito una raffica di interventi, tutti sinceri, molti con voce emozionata. È emerso innanzitutto questo: “l’inferno” non è per niente una realtà lontana e astratta. Non è roba da preti per le loro prediche, ma dolorosa esperienza che ha sfigurato la biografia di chi ha preso la parola. L’inferno ha il volto di violenze e di dipendenze, di fallimenti, di speranze deluse. È fatta di droga e di spaccio, di alcool e di rapine, di carcere e di famiglie sfasciate. Se un ritrovo natalizio ha da essere tutto sorrisi e armonia, ecco: qui non lo è stato! È stato un susseguirsi di testimonianze brevi e sincere. Nessuno si è lamentato, ma le sofferenze, le lacrime e il buio subiti da queste persone sono palpabili e hanno toccato il cuore di tutti, anche dei genitori o degli operatori presenti, che pur sono abituati a questo dolore.
Da tutti – tutti! – gli interventi è poi emersa la domanda che è nientemeno che un grido: Come e dove scoprire ciò che non è inferno oggi? Bisogna riconoscerlo: il volantone non lancia una sfida retorica o già “risolta”, ma descrive un modo di vivere che brucia dentro la quotidianità di tutti – fin nel presente, fin dentro la terapia, fin dentro la vita di comunità. Giorgio Torresetti ha richiamato i “ragazzi” e le “ragazze”: “Voi avete confidenza con l’inferno. Ne avete fatto esperienza! Ora, bisogna fare un passo ulteriore per averne coscienza e giudicare, capire dove sta il male e lasciare che sbocci il bene, che pur già riconoscete presente, affinché possa crescere l’altra confidenza, quella con la luce”. Non sono mancati nelle sue parole gli esempi della vita quotidiana, quella delle singole comunità, dove anche le più piccole regole, i più banali gesti sono ricollegati all’origine, al vero, al grande ideale di bene che non è un concetto, ma quella presenza che fa sussultare il bambino nel grembo di Elisabetta, come il vangelo ha proclamato nella Santa messa che poi si è celebrata insieme. “Sussultare di gioia”: un’esperienza possibile per tutti?
Nel pomeriggio, dopo un ottimo pranzo consumato in compagnia, il gesto si è concluso con un momento di canti. Non quelli già nell’orecchio di tutti, ma canti natalizi dall’America Latina insegnati da amici del Villaggio. Canti che missionari avevano composto per portare agli indigeni del Nuovo Mondo la novità del vangelo, la novità del Dio fatto uomo, della luce che da allora illumina le tenebre dell’uomo. Quei canti, imparati e cantati con tanta passione, hanno aperto il cuore di tutti. Ci hanno fatto sentire vicini ai fratelli e alle sorelle in America Latina, a Maria e Elisabetta, ci ha fatti sentire più vicini l’un l’altro perché amati da quel Bambino che è il Salvatore.
Non è l’inferno in noi e attorno a noi a vincerla, ma Gesù con il Suo abbraccio d’amore. Così è bello e dà pace augurarsi un buon Santo Natale!
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