Domenica si terrà un importante vertice a Londra per il futuro dell'Europa, che dovrà investire molto in difesa
Il “vertice di Paesi Ue” convocato per domenica a Londra promette di essere “disruptivo” per l’Europa di oggi, benché rappresenti – negli intenti dei partecipanti – un primo passo ricostruttivo dell’Unione nel violento cambio di stagione globale segnato dall’avvento di Donald Trump alla guida degli Usa.
Un summit ristretto ad alcuni fra i 27 Paesi dell’Unione e chiamato nella capitale di un Paese clamorosamente uscitone nove anni fa è in sé di estremo significato. E saranno ora con molta probabilità le intese di Londra a dettare l’agenda al plenum del Consiglio Ue, indetto in precedenza a Bruxelles dal Presidente Antonio Costa: sempre sulla crisi ucraina e sulla strategia di riarmo europeo.
La cabina di regia istituzionale dell’Unione si riunirà quindi a dossier prevedibilmente impostati: dopo i viaggi a Washington del Presidente francese Emmanuel Macron e del Premier britannico Keir Starmer e dopo la firma degli accordi minerari fra gli Usa e l’Ucraina, a prodromo di un cessate il fuoco con la Russia. Nel frattempo la Germania sarà ancora rappresentata dal Cancelliere uscente, il socialdemocratico Olaf Scholz: battuto al voto interno di domenica vinto dal cristiano-democratico Friederich Merz, il quale però sta già lavorando a una coalizione tra Cdu-Csu e la stessa Spd.
È in questo quadro incandescente e magmatico che “l’Europa” (si vedrà in un secondo tempo con quale perimetro e struttura) sembra imboccare la via prioritaria di massicci investimenti in sistemi di difesa: probabilmente con la creazione di un nuovo super-fondo multinazionale. Le macro-implicazioni del passo paiono fin d’ora il prevedibile dirottamento di risorse da altre direttrici strategiche nel NextGenerationEu (già rifuso nel Recovery Plan post-Covid); una probabile accelerazione verso forme di debito comune (fortemente raccomandate dal Rapporto Draghi) e l’accentuazione di un ruolo tendenzialmente dirigistico dell’Ue e degli Stati-guida nella definizione delle politiche finanziarie, industriali, sociali.
Non certo da ultimo, è un processo che inizia sotto l’ombrello di entrambe le potenze atomiche europee (Francia e Gran Bretagna) quando tutti i Paesi del Vecchio continente paiono indirizzati verso il rilancio del nucleare civile a fini di indipendenza energetica.
Nonostante l’atteggiamento dialettico esibito da Macron nell’incontro con Trump, la dinamica europea sembra tutt’altro che in contrasto con i nuovi “desiderata” degli Stati Uniti: una riforma della Nato con un maggior impegno militare e finanziario dell’Europa; e un tendenziale impiego di forze europee nel lungo cessate il fuoco che pare prepararsi sul fronte russo-ucraino. Le prime pagine del “manuale d’istruzioni” per il nuovo dopoguerra sembrano dunque abbozzate: sul piano geopolitico e su quello economico, anche se non ancora su quello politico-istituzionale.
Un’Europa reduce da un round elettorale contrastato emerge infatti fratturata dai tre anni di guerra russo-ucraina (basti pensare alla posizione dell’Ungheria) mentre la sola unione pienamente operativa (l’Eurozona) è nelle mani di una banca centrale formalmente indipendente da Bruxelles e dalle cancellerie europee.
L’Italia odierna – a Londra come a Bruxelles – si ritroverà seduta ai tavoli “ricostruttivi” in sostanziale “par condicio”: non solo perché l’Italia è un Paese fondatore dell’Ue e ha una stazza confrontabile con Germania, Gran Bretagna e Francia. Tutte le leadership dovranno risolversi ad affrontare in solido oneri e rischi immediati, anche se non privi di opportunità future.
In questo momento Roma sembra contare sulla relazione fra la Premier Giorgia Meloni e Trump (esplicitamente confermata dal Presidente Usa a margine del summit con Macron) e soprattutto sul ruolo industriale della galassia Leonardo: le cui partnership in Usa, Gran Bretagna ed Europa inseriscono già l’Azienda-Italia a un livello centrale e primario nella ricerca tecnologica trainata dalla difesa.
Sul piano economico-finanziario l’Italia soffre ancora delle sue debolezze storiche. Ma nel 2025 non è più il proverbiale malato d’Europa: a sostanziale parità di stagnazione, la situazione delle finanze pubbliche francesi è relativamente peggiore, così come batte fortemente in testa il motore manifatturiero tedesco (cui peraltro sono connessi settori importanti dell’industria italiana). La stessa Gran Bretagna deve ancora ritrovare un percorso di crescita sostenibile.
Il “vincolo esterno” che a lungo è stato evocato per l’Italia – perché rimanesse nella carreggiata dei parametri di stabilità Ue – sembra assumere ora una fisionomia globale premendo dagli Usa sull’intera Europa in direzione della rapida costruzione di una nuova “Unione di difesa”.
Non c’è dubbio che lo stesso Rapporto Draghi immaginasse che i maxi-investimenti descritti come necessari ad accrescere la competitività Ue fossero orientati a uno sviluppo non militare (anzitutto nella transizione energetica e digitale). Ma la storia contemporanea – anzitutto la reazione americana alla depressione degli anni ’30 del secolo scorso, confluita poi nello sforzo bellico; e la ricostruzione dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra – suggerisce di non demonizzare in via pregiudiziale il potenziale economico e tecnologico di un passaggio di conflittualità globale: fra l’altro in via di apparente superamento nella sua fase critica.
Per una svolta autenticamente virtuosa occorre naturalmente che a gestire l’intera ricostruzione siano classi di governo e più ampi sistemi Paese capaci di riproporre in scenari storici nuovi una civiltà consolidatasi nelle libertà individuali e collettive: quella matura democrazia di mercato che rimane alla base distintiva dell’Occidente, su entrambe le sponde dell’Atlantico.
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