Il metodo della carità

Dopo il Banco Alimentare, il Banco Farmaceutico e il Banco Informatico, il Banco delle Cose mostra che la creatività della carità non ha limiti

La creatività della carità non ha limiti: spinge a mettersi insieme per rispondere ai bisogni della gente utilizzando risorse che se non andrebbero al macero. I diversi “Banchi” esistenti in Italia ne sono un esempio: il Banco delle Cose, il meno conosciuto, estende le possibilità a campi e realtà che non sembravano neanche immaginabili. L’esperienza personale è all’origine di un popolo che si prende cura dei bisogni di ognuno.



L’Italia ha un’eccellenza che pochi conoscono: solo in Italia esistono quattro banchi di carità!  Oltre ai più famosi (Alimentare e Farmaceutico) esistono e operano il Banco Informatico e – ultimo nato – il Banco delle Cose (già banco Building). Sono realtà indipendenti, ma lavorano in sinergia e insieme realizzano un sistema di recupero e distribuzione gratuita di qualsiasi tipologia di beni. Non c’è bene che non possa essere potenzialmente recuperato. È un unicum al mondo e nel loro insieme sono la più grande opera di carità in Italia.



È stupefacente la crescita che in questi anni ha avuto l’esperienza dei Banchi, anche alla luce del recente esito della “Raccolta del Farmaco”. Certamente – da un lato- la vicenda del Covid e – dall’altro – la legge Gadda hanno contribuito a questo risultato. Ma, come sempre, proprio l’esperienza degli ultimi nati stimola una riflessione.

Infatti, il Banco delle Cose (già Banco Building) ha recentemente terminato operazioni di grande portata: ha smontato e distribuito gli arredi e attrezzature di due interi ospedali milanesi (il tutto è giunto in questi giorni a destino in Africa e Ucraina), lo stesso dicasi per due alberghi (a Merano e Milano) che andranno ad arredare ospedali in Togo.



Aziende di moda donano i loro campionari e gli invenduti, aziende di igiene personale donano centinaia di bancali così come aziende del settore elettrico donano le rimanenze, aziende bancarie e assicurative dismettono migliaia di uffici (effetto dello smart working), per non dimenticare nel recente passato i Gate prefabbricati di Linate della Sea che – anziché essere distrutti (con relativi costi) – sono stati smontati e trasferiti a Brescia per diventare la sede della Protezione Civile o le mense di varie aziende come pure le ambulanze non più a norma in Italia, ma utilissime in Africa fino ai giocattoli e cartoleria, ecc.

Insomma, il Banco delle Cose recupera qualsiasi bene non deperibile per donarlo a opere di carità e di assistenza del Terzo settore attive in Italia e nel mondo. Ma soprattutto: si chiude il cerchio sulle tipologie di beni di cui si occupano i Banchi. Non c’è bene che potenzialmente non possa essere recuperato.

Le riflessioni che nascono osservando questa esperienza sono molte. La fantasia italica ci ha messo del suo, ma nasce da un’educazione alla carità di un popolo.

Questo esempio è l’inizio di un diverso rapporto tra profit e no profit. Se finora l’esperienza dei Banchi si “limitava” – si fa per dire – ai beni primari (alimentare e farmaci/alimentarsi e curarsi), con il Banco delle Cose l’esperienza si amplia a tutto il resto. Questo è il grande passo.

Purtroppo ancora poche aziende (piccole o grandi) conoscono questa possibilità che consente tutta una serie di benefici fiscali e pratici della collaborazione tra profit e no profit. Non solo: le nuove normative per le aziende quotate impongono queste sinergie finora libere con il mondo no profit. Normalmente si ritiene ancora più semplice e pratico rottamare anziché trasformare questi beni in strumento di sviluppo.

Grazie al Banco delle Cose il mondo no profit ha la possibilità di accedere a materiali, prodotti e attrezzature che – diversamente, se acquistate – comporterebbero dei costi.

Questo strumento ambisce e avrebbe senso che operasse su tutto il territorio nazionale. Ma una struttura basata sul solo volontariato non può reggere a lungo: occorre sostenere un fattore di crescita così importante. Oltre alle risorse finanziarie occorre il capitale umano: persone che si rendano disponibili.

È evidente che questo è l’esito di un lavoro di sensibilizzazione che negli anni, passo dopo passo, ha creato una cultura della carità e ha prodotto risultati. È cresciuta, piano piano, fra la gente semplice (quella cha va fare la spesa o si reca in farmacia) un’affezione, un “non è un fuoco di paglia ma posso fidarmi, questi non mollano” e la consapevolezza che la carità non è un gesto anonimo, ma è un gesto concreto: è donare un bene o un farmaco.

Cioè: il metodo della carità inaugurato dal Banco Alimentare è diventato elemento di crescita del Paese. Non solo economica, ma anche culturale. Per gli amanti della statistica: i coefficienti di efficienza dei 4 banchi (rapporto tra budget e quanto perviene al beneficiario) sono fra i più elevati.

Attenzione: i Banchi non lavorano direttamente a sostegno dei poveri o ammalati, ma sostengono chi già opera sul territorio. È una logica elementare, ma efficace: aiutare chi già c’è. Si chiama “sussidiarietà”.

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