Seveso, la terribile occasione

Esattamente 49 anni fa si verificò il disastro di Seveso, che ha costituito anche una «terribile occasione» per un avanzamento culturale sui temi ambientali

Il disastro di Seveso del 10 luglio 1976, che comportò la fuoruscita di una ingente quantità di diossina dalla fabbrica chimica Icmesa di Meda, ha prodotto drammatiche conseguenze ambientali e sanitarie e, allo stesso tempo, ha rappresentato un punto di svolta nella formazione di una cultura ambientalista a livello italiano ed europeo, contribuendo a modificare l’atteggiamento delle autorità politiche verso i temi ecologici.



L’Italia, alla metà degli anni Settanta del Novecento, soffriva di un dissesto ambientale diffuso. I ritardi nello sviluppo industriale erano stati colmati nei decenni precedenti spesso ricorrendo a produzioni dequalificate, a basso valore aggiunto, a basso costo della manodopera, fortemente inquinanti. La natura nella sua integralità (le acque, il suolo, l’atmosfera) era stata completamente “mercificata” e subordinata alla priorità dell’industrializzazione, in molti casi con il favore della pubblica opinione.



La legislazione italiana di allora in materia di tutela ambientale e di prevenzione dei rischi industriali si rivelava inadeguata e frammentata in decine di leggi e regolamenti, che attribuivano la competenza sulle autorizzazioni e sui controlli a una miriade di enti settoriali, spesso non attrezzati tecnicamente e quasi sempre non coordinati e non comunicanti tra loro. Il trasferimento dei poteri alle “neonate” Regioni, non ancora ben rodato nel suo equilibrio con le prerogative statali, rendeva ancora più complesso il quadro.

La portata dell’incidente dell’Icmesa, che ebbe una fortissima eco mediatica a livello mondiale e che fu accompagnato da altri casi di grave incidente industriale (come la fuoruscita di 10 tonnellate di anidride arseniosa dallo stabilimento Anic di Manfredonia, il 26 settembre 1976), penetrò le coscienze e consentì un’accelerazione culturale e politica a livello regionale, nazionale ed europeo. Concetti come quelli di “crisi ambientale”, di “ecopolitica”, di “rischio tecnologico maggiore” – fino ad allora confinati alle discussioni di scienziati e intellettuali – cominciarono a diventare patrimonio diffuso nel dibattito pubblico.



Già nei giorni dell’emergenza, la giunta regionale lombarda tentò un salto di qualità nel ruolo di governo regionale e decise di non avvalersi della possibilità – prospettata dal ministro dell’Interno – della nomina di un commissario governativo ad hoc. Domandò invece che le fosse assicurata un’ampia autonomia di intervento e che le fossero delegate la gestione dell’emergenza e le operazioni di bonifica, anticipando i tempi del passaggio dei poteri dallo Stato nelle materie previste dalla Costituzione (completato solo l’anno successivo, nel 1977).

Il 24 giugno 1982 il Consiglio della Comunità Europea approvò la cosiddetta “Direttiva Seveso” (85/501/CEE) sulla prevenzione dei grandi rischi industriali, recepita in Italia nel 1988 con un ritardo di sei anni. La direttiva, oggi arrivata alla sue terza versione (2012/18/UE – Seveso III), prevede tra le altre cose: l’individuazione e il censimento degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e delle lavorazioni pericolose; il controllo dell’urbanizzazione circostante; la predisposizione di piani di emergenza; l’informazione e l’addestramento degli abitanti; l’individuazione delle autorità preposte ai controlli e alle ispezioni.

Sul territorio colpito dalla fuoruscita di diossina, la giunta regionale lombarda – dopo dibattiti anche molto accesi – decise di scartare le ipotesi di bonifica basate sull’incenerimento in loco del materiale contaminato e si orientò verso una soluzione meno impattante. Parte della cosiddetta “Zona A”, a più alta contaminazione, venne trasformata in area verde, creando nel sottosuolo due discariche controllate dove seppellire i residui tossici della diossina. Le operazioni di decontaminazione iniziarono nel 1983, e l’anno successivo presero avvio i lavori ambientali e forestali, terminati nel 1986.

La cura dell’area venne affidata all’Azienda regionale delle foreste, che proseguì gli interventi di piantumazione. Il parco, chiamato “Bosco delle Querce”, fu inaugurato nel 1996. Nel 2005 la Regione Lombardia lo ha riconosciuto come riserva naturale. Al suo interno, un percorso composto da 11 pannelli – realizzato dal Comune e dal circolo Legambiente di Seveso – racconta il passato e il presente di quel luogo, la sua importanza naturalistica e la sua rilevanza sociale.

Insomma, il disastro di Seveso ha costituito anche una «terribile occasione» (per usare le parole del sociologo Michele Rostan in relazione agli eventi calamitosi) per un avanzamento culturale, politico e istituzionale sui temi ambientali, nonché per la rinascita delle comunità locali colpite dall’incidente.

Nel 2026 ricorrerà il cinquantesimo anniversario del disastro. In questa prospettiva, il comitato scientifico di Fondazione Lombardia per l’Ambiente – creata nel 1986 proprio per valorizzare l’esperienza e le competenze tecnico-scientifiche acquisite nella gestione dell’incidente – ha costituito un gruppo di lavoro incaricato di mettere a punto, insieme alle istituzioni, eventi di diverso tipo: da quelli strettamente scientifici a quelli di public history e di divulgazione per i cittadini, con i quali intende stimolare la riflessione su quegli eventi, non solo sul territorio locale, e continuare l’opera di sensibilizzazione verso i rischi di uno “sviluppo sregolato” e della “monetizzazione del rischio”, di cui i fatti di Seveso costituiscono un forte monito ancora oggi.

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