100 passi: perché il film su Peppino Impastato si chiama così e cosa rappresenta davvero quella distanza tra due case a Cinisi
“100 passi” è una misura precisa, ma anche una scelta carica di senso che da il titolo a uno dei film italiani più riconoscibili e identitari e che continua a dire qualcosa anche oggi a chi di mafia, potere e silenzio ha sentito parlare anche solo da lontano: i 100 passi sono quelli che separavano la casa di Peppino Impastato da quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti a Cinisi, paese alle porte di Palermo, dove Peppino è cresciuto e dove ha deciso, fin da giovanissimo, di rompere con l’ambiente familiare e con l’omertà del suo contesto.
Il titolo del film, diretto da Marco Tullio Giordana nel 2000, non nasce da una formula metaforica, ma da una realtà concreta, perché quella distanza esiste davvero e rappresenta il confine tra due mondi che si conoscevano fin troppo bene, ma che Peppino Impastato ha deciso di separare in modo deciso.
I 100 passi indicano il breve tragitto che ogni giorno segnava la distanza tra la sua abitazione e quella del capomafia che controllava tutto intorno, ma anche la lunga strada fatta di scelte complicate, conflitti familiari e isolamento sociale, che Peppino ha percorso per uscire dal sistema e cercare di contrastarlo con gli strumenti della parola e della denuncia pubblica, attraverso Radio Aut, i comizi, i volantini, la satira e una forma di opposizione diretta che, in Sicilia in quegli anni, era tanto rara quanto pericolosa.

Il suo impegno è costato la vita, ma i 100 passi sono diventati la misura di una scelta consapevole, di una sfida che non si è mai posta il problema del compromesso: il titolo del film funziona proprio perché racconta tutto questo con una semplicità immediata, non retorica, quasi asciutta, ma efficace proprio perché descrive un’azione quotidiana trasformata in gesto radicale.
Perché 100 passi è diventato un titolo simbolico e cosa racconta ancora oggi su mafia, memoria e responsabilità
Il film dei 100 passi non ha avuto solo il merito di raccontare la vicenda di Peppino Impastato a un pubblico più vasto rispetto a quello che conosceva già la sua storia attraverso la militanza o le cronache giudiziarie, ma ha anche trasformato quel semplice gesto in una sorta di compito collettivo, riconoscibile e ripetibile, che è entrato nel linguaggio comune diventando murales, nome di scuole, frasi da manifesti e titoli di articoli o canzoni.
E non è un caso, perché in quella misura c’è l’idea di un gesto breve ma importante, il passaggio tra stare dentro o uscire fuori, tra obbedire o rompere, tra accettare il silenzio o decidere di esporsi e, per molti, è diventato il modo più immediato per raccontare cosa significhi, in Italia, scegliere di non voltarsi dall’altra parte quando si ha qualcosa da dire, anche sapendo che il prezzo può essere alto, anche quando si è soli e si sa di poter disturbare.
Oggi “100 passi” continua ad avere un valore anche fuori dal suo contesto originale, perché quella distanza continua a esistere in tante altre forme: non solo tra una casa e l’altra, ma tra chi vive con normalità tra sistemi poco trasparenti e chi decide di metterli in discussione, tra chi preferisce il compromesso e chi invece prova a dire no.
Il film di Giordana, nel tempo, è diventato uno strumento didattico, un punto di riferimento nelle scuole, un mezzo per raccontare una parte della storia d’Italia senza dover ricorrere ai documentari o ai libri di testo, e ha avuto anche il merito di fare chiarezza su una vicenda che per anni è stata oggetto di omertà e ambiguità, perché solo molto tempo dopo la morte di Peppino si è arrivati a riconoscere che si trattò di un omicidio di mafia e non di un suicidio, come qualcuno aveva provato a sostenere.
Ma i 100 passi oggi parlano anche ad altri contesti e ad altri giovani che non vivono a Cinisi né conoscono personalmente il peso delle mafie, perché la questione che pongono riguarda qualcosa di più largo e universale: la possibilità di scegliere da che parte stare, anche quando nessuno lo chiede, e per questo, quella dei 100 passi non è solo una storia passata, ma una domanda che resta sempre attuale.
