L’immunologo Sergio Abrignani, nel corso di una intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha evidenziato quali sono gli scenari che si aprono per la popolazione a seguito della somministrazione della terza dose del vaccino contro il Covid-19. Essi, tuttavia, sono piuttosto incerti. La protezione, infatti, potrebbe durare per 5-10 anni oppure poco più di 6 mesi, come accaduto con le prime due dosi. “Non c’è nessuna evidenza su cosa accadrà”, ha affermato l’esperto.
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La terza dose, ad ogni modo, avrà scientificamente un obiettivo diverso dalle altre. “Le prime due servono a indurre una forte risposta immunitaria che agisce subito, il richiamo serve a rinforzare la memoria immunitaria e a renderla duratura. Dobbiamo ricorrere a una terza iniezione non perché il virus sia riuscito ad aggirare il vaccino, ma perché c’è bisogno di allungare la memoria del sistema immunitario”, ha spiegato. Il problema è che, prima della somministrazione del booster, non sarà possibile comprendere quale sarà la durata dell’immunità né tantomeno se sarà necessaria una quarta dose.
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Abrignani: “Terza dose? Immunità 5-10 anni o come altre, non si sa”. E sulla variante Omicron…
Sergio Abrignani, dopo avere sottolineato che al momento non ci sono evidenze scientifiche sulla durata dell’immunità fornita dalla terza dose del vaccino contro il Covid-19, ha parlato al Corriere della Sera dei possibili effetti che potrebbe avere la diffusione della variante Omicron nel mondo. “E’ causa di forme di malattia più gravi? Può sfuggire al vaccino e fino a che punto?”, queste le domande che gli esperti si stanno ponendo. Le risposte, tuttavia, non ci sono ancora. La buona notizia, ad ogni modo, è che i sieri attualmente a disposizione hanno già dimostrato di essere efficaci su altre tre mutazioni: quella originaria di Wuhan, la Alfa e la Delta.
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“Una variante, per diventare temibile, deve avere un vantaggio competitivo, deve cioè saper imporsi sui ceppi circolanti grazie a una maggiore diffusività innanzitutto. Anche Omicron sembrerebbe, dai dati sudafricani, più contagiosa. Non sappiamo se questo è legato alla caratteristica della popolazione di quella zona, dope c’è un’alta prevalenza di persone immunodepresse. Dobbiamo vedere come si comporterà in Europa. Avrà la stessa diffusività? Non è detto”, ha concluso l’immunologo.