L'autore ricorda don Silvano Seghi, sacerdote fiorentino che visse con fede semplice e passione per l'umano seguendo don Giussani
La sera del 20 agosto è morto a Firenze don Silvano Seghi (25 ottobre 1941). La ricerca inesausta, fin dagli anni 60, di una proposta di fede all’altezza dei bisogni e delle sfide della vita gli permise di intercettare e riconoscere tutto il valore dell’esperienza che nasceva dal carisma di don Giussani, cui si accostò con semplicità di bambino, seguendo innanzitutto alcuni giovani ragazzi che vivevano l’esperienza di Gioventù Studentesca. Nell’incontro con Giussani, ricordava don Silvano, “Mi sembrava di aver trovato tutto!”.
In queste ore i tanti messaggi che lo ricordano sono tutti all’insegna di una profonda gratitudine per come ha sempre accolto tutti e tutte, rendendo presente e sperimentabile quello sguardo colmo di tenerezza e passione per l’umano, proprio di Cristo, che tutto abbraccia e nulla misura. Il “sì” di Silvano a Cristo – attraverso le circostanze della realtà e in una sequela continua alla Chiesa e al carisma donato a don Giussani – ha così generato una storia e un popolo a Firenze e in Toscana, facendo desiderare a tanti altri di poter dire quello stesso “sì”.
Riportiamo le parole con cui don Elia Carrai lo ha voluto ricordare agli amici del CLU di Firenze.
20 agosto 2025
San Bernardo di Chiaravalle
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Cari amici, l’avventura umana del nostro caro don Silvano ha trovato il suo compimento. I più grandi di voi hanno avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo prima della lunga malattia di questi ultimi anni.
Negli ultimi tempi, prima che non potesse più parlare, ci ha raccontato molte volte di come avesse iniziato a vivere l’inizio di ogni giornata: alzandosi presto e aprendo subito la finestra per lasciarsi risorprendere di come nella luce dell’alba ancora una volta ci fossero le cose, ci fosse lui e il Mistero che lo faceva in quel momento.
Era tutto teso così a che il quotidiano corpo a corpo con l’essere della realtà, di sé e delle cose, potesse fiorire nuovamente come a tu per tu col Mistero, con Cristo.
Vedendolo durante la malattia, che gli aveva tolto le possibilità di comunicare, non potevo non pensare che fosse come già immerso in una familiarità del tutto speciale con il Signore. Adesso finalmente gode la pienezza di questo rapporto con Lui, che Silvano ha cercato e amato lungo tutta la vita, dandosi a tutti senza riserve con una stima e un amore all’umanità di ciascuno.
Mi ha sempre testimoniato questa passione per l’umano, per l’intelligenza che sempre domanda e si interroga, ma anche per la fragilità nostra che sempre chiede di essere abbracciata senza alcuna misura. Così ci disse durante una cena: “Non prendete mai le distanze da voi stessi, dal vostro temperamento, non cercate di fare tutto bene, perché solo Uno è il Bene!”.
Di questo suo sguardo pieno di tenerezza posso dire di avere fatto sempre esperienza, come anche di una paternità che non ha mai cercato di sottrarmi al mio cammino umano. Quando gli consegnai – a lui per primo – il pensiero della vocazione, mi disse: “Questa cosa te la dà Cristo, occorrerà renderla a Lui”.
Avevo 16 anni e non capii, perché speravo mi dicesse “cosa fare”. Col tempo ho scoperto che mi aveva subito chiarito che c’è un punto irriducibile in cui si gioca il mio personale rapporto con Cristo, che la vocazione la dà Lui a me.
L’ho sempre visto vivere questo dialogo personale col Mistero, dentro le tante cose che faceva e viveva, anche dentro la vita donata al movimento: per lui era questo dialogo tra il cuore suo e il cuore di Cristo il punto sempre cruciale, da qui anche quell’amore speciale che aveva per la Liturgia e che mi ha sempre affascinato fin da bambino; per lui era veramente, carnalmente, un dialogo con Lui.
Vi giro uno degli ultimi messaggi che riuscì a scrivermi, prima del progressivo aggravarsi delle sue condizioni: era il 26 ottobre 2021, durante gli esercizi dei preti.
“Carissimo Elia, ti ringrazio dei tuoi auguri nel giorno del mio compleanno, è stata una magnifica festa. Stamattina, alzandomi e aprendo quasi subito la finestra e guardando tutto ciò che ho davanti e vedendo alberi autunnali in decadenza, mi è venuta in mente una cosa che non è mia ma di don Giussani.
Lo dico a te, ma l’ho detto anche in Chiesa alla Messa mattutina presso a poco così: ‘Gli ottant’anni sono passati, indietro non si può tornare, che nostalgia, quanti anni ancora mi saranno dati?’. Mi è venuto in mente quello che ci disse don Giussani dopo il referendum… fu detto da alcuni ‘si ricomincia da 32’; il Gius obiettò: ‘No! Si ricomincia da Uno’. Ciò che dà speranza, il futuro che ci fa crescere, è Uno: la fede in Gesù Cristo.
Passato, presente, futuro non è una nostra quantità, ma è Lui: come facciamo a vivere senza di Lui?! Negli esercizi che stiamo seguendo ci ha detto Carrón e anche mons. Cerrato: l’irriducibilità dell’io è Lui, essere amati genera affezione.
Non vale una quantità di cose o opere, ma amare perché siamo amati: tutta la mia vita, con debolezze, mancanze e peccati, è stata ed è ancora per Grazia Sua. Tendere ad amare e unirsi in ogni istante in Colui che mi ama: il perdono è la mia prima preghiera del mattino, quando vedo che tutto mi viene dato.
Il vescovo che predica i nostri esercizi ha ricordato le parole di don Giussani: ‘Signore, riconosco che tutto da Te viene, tutto è grazia, gratuitamente dato, misterioso, che non posso decifrare, ma che io accetto, secondo le circostanze in cui si concreta tutti i giorni, e Te lo offro, e tutte le mattine Te lo offro, e cento volte al giorno, se Tu hai la bontà di farmelo ricordare, io Te lo offro’.
L’offerta della giornata, anche se poi me ne dimentico, allora pietà di me, fammelo ricordare. Nella Messa, dopo la Comunione, invoco questa pietà per poter offrire quello che mi manca e che la grande Grazia venga, torni a me, perché Tu ci sei e la Tua bontà me lo ottenga sempre”.
Come deve esser contento ora Silvano, che è tutto in questa Grazia, il cui amore ha desiderato corrispondere lungo tutta la vita!
Don Elia
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