La vita è strana, la vita procede per conto suo e noi ci adeguiamo, o ci ribelliamo. Ma non cambia nulla, perché la vita fa e dispone. Hai poco più di vent’anni e un cuore grande, dove la pietà per il prossimo sbocca incontenibile e scrivi una canzone che nessun autore rock ha mai pensato di scrivere. Perché cantare di vecchi abbandonati non ti procura un hit single. Più facile fare i sovversivi e sputare in faccia ai vecchi: “Spero di morire prima di diventare vecchio”. Lui no. Lui osserva una coppia di anziani che hanno perso un figlio nella guerra di Corea “e ancora non sappiamo il motivo”. Gli altri figli, John e Linda, vivono lontani e Davy, chissà dove è Davy, da qualche parte per la strada, a inseguire la libertà per non finire come suo padre e la madre, pensa. E mentre gli alberi, invecchiando, diventano sempre più forti e i fiumi diventano sempre più selvaggi di giorno in giorno, “i vecchi diventano sempre più soli, aspettando che qualcuno si fermi alla porta di casa e dica, ehi, salve là dentro, buongiorno”.
Così succede che invecchi anche tu e anche se sei fortunato a non essere rimasto da solo, ti ammali. Non una, ma due volte. Un tumore alla gola prima e poi un pezzo di polmone strappato via, per un altro tumore. Ma ce la fai, incredibilmente ce la fai. E continui a scrivere e cantare le tue storie di umana compassione, porti in giro un sorriso fuorilegge perché anche sorridere è guardato con sospetto oggigiorno. “La condizione umana è buffa”, hai detto una volta. E allora meglio riderci sopra che incazzarsi, anche quando il protagonista è uno sciovinista di destra che adora solo la patria, tanto da riempire il vetro della sua macchina di adesivi con la bandiera, slogan per il presidente e cianfrusaglia varia che a un certo punto non ci vedi manco più e finisci fuori strada ammazzandoti. San Pietro ti appare davanti e ti dice come stanno le cose: “I tuoi adesivi con la bandiera non ti faranno entrare in paradiso, è già strapieno di gente della tua sporca piccola guerra”. Ecco. ERano i tempi del Vietnam, ma di guerre e di fanatici ce ne sono ancora tanti. Uno è anche diventato presidente del tuo paese, l’avresti mai detto che si poteva cadere così in basso?
A proposito di Vietnam. Sam Stone è tornato da laggiù ma non è riuscito a riprendere la vita di prima, come tutti i reduci tocca a loro pagare il prezzo di una guerra perduta, incolparli e dimenticarsi di loro. Le bombe gli hanno lasciato una gamba fracassata, i figli gli stanno lontano, lo guardano con paura mentre si infila quella siringa nel braccio, continuamente: “C’è un buco nel braccio di papà dove vanno a finire tutti i soldi”. Ancora compassione, ancora pietà, non una canzone di protesta. Una canzone che ti lascia agghiacciato davanti a tanta umanità straziata.
Ed è anche capace di mettersi nei panni di una donna, cosa che nessun uomo sa fare così bene, di un angelo da Montgomery: “Come diavolo fa una persona ad andare a lavorare al mattino, tornare a casa alla sera e non avere niente da dire?”. Ecco svelato il segreto di John Prine. I protagonisti delle sue canzoni siamo noi, tutti noi, non scampa nessuno. Una piccola miseria costante che giorno dopo giorno uccide sogni, speranze, promesse. Dirà di lui Bob Dylan: “Quello che scrive John Prine è puro esistenzialismo proustiano, una mente del Midwest all’ennesima potenza. E scrive bellissime canzoni”.
Ma la vita è strana, la vita ha progetti tutti suoi. Succede che sei diventato anziano e il mondo è invaso da una schifosa malattia che si porta via le persone più fragili, più vecchie, quelle con un cuore così grande che la compassione trabocca. E tocca a te andartene, come quei due anziani di cui cantavi. Dimenticato, solo, in una fredda camera di ospedale, senza nessuno accanto. Però ricordatevi tutti di una cosa: “Se vi capita di camminare per la strada e notate qualcuno con gli occhi vecchi per favore non passate oltre come se non ve ne importasse niente, dite invece ehi là dentro, buongiorno, salve”.
Noi possiamo solo affacciarci in quella camera di ospedale, in silenzio, e sussurrare: “ehi John Prine, ehi là dentro, ciao”. E grazie di tutto. Eri così simpatico che ti eri già scritto tempo fa una canzone per questo momento: “Quando arriverò in paradiso, stringerò la mano di Dio lo ringrazierò per tutte le benedizioni che mi ha dato, più di quante un uomo può averne poi prenderò una chitarra e fonderò una rock’n’roll band, sistemazione in un hotel di lusso; non è grande l’aldilà?”.