Si sta parlando molto della miniserie tv "Adolescence" e del tema che tratta. Anche se forse non lo si è compreso in pieno
Adolescence è la miniserie televisiva ideata da Jack Thorne e Stephen Graham e diretta da Philip Barantini; proposta da Netflix è in questo momento non solo all’attenzione del grande pubblico, ma oggetto di discussione e di confronto sul tema della violenza giovanile.
La trama è molto semplice, è la storia di una famiglia e di una scuola sconvolte da un grave assassinio, quello che commette Jaime (Owen Cooper) accoltellando a morte una ragazza, e che fa emergere un mondo sotterraneo ma quotidiano di bullismo, di uso violento dei social, di depravazione sessuale.
È una miniserie che presenta un mondo giovanile al limite della follia e ne fa vedere in modo crudo la grande fragilità e le drammatiche contraddizioni, fino a mostrare la lucidità di un’inconsapevolezza della realtà; non risulta facile guardarla perché l’impatto è devastante e dialoghi e scene in certi momenti turbano la coscienza, però superando la naturale avversione a un’umanità così alterata si può trovare in questa storia una sfida che oggi ci riguarda tutti.
La miniserie ha come protagonista Jaime, un ragazzo di grande intelligenza, ma in cui il rapporto con la realtà è devastato: la regia è capace di descrivere attraverso dialoghi di una crudezza impressionante come un ragazzo possa perdere il rapporto con la realtà, tanto che vi è un momento di grande drammaticità quando la psicologa Briony Ariston (Erin Doherty) che lo interroga in un lungo colloquio gli chiede se lui sappia cosa sia la morte. Lì si tocca la questione di Jaime: lui ha ucciso una ragazza e lo negherà fino alle ultime scene, ma lui non sa che cosa sia la morte, qui è il dramma, l’inconsapevolezza di ciò che si fa.
E così si tocca la questione giovanile oggi, che la violenza si genera là dove si perde il rapporto con la realtà, per questo l’unica possibilità per Jaime è ritrovare il rapporto con essa, cosa che nella miniserie si può notare presente come un filo rosso tutto ancora da tirare.
Questo è ciò che sembra essere Adolescence, la storia di Jaime, e in parte è vero, ma vi è un’altra parte, quella degli altri tre protagonisti, il padre Eddie Miller (Stephen Graham), la madre Manda Miller (Christine Tremarco) e la sorella di Jaime, Lisa Miller (Amélie Pease): sono loro i veri protagonisti della miniserie, è il loro dramma, quello di non aver capito chi fosse Jaime, quello di non aver avvertito quale fosse la sua domanda, quello di non aver capito dove avessero sbagliato, perché a loro sembrava di aver fatto tutto giusto come la maggior parte degli adulti credono.
Sono loro i protagonisti e il loro protagonismo diventa avvincente quando raggiunge il vertice, quando nelle ultime scene diventa grido. È la domanda da dove ripartire e forse che finalmente Jaime abbia ammesso la sua colpa è la strada anche per loro, ciò che si è perso è la realtà, c’è da ripartire da essa, anche quando fa male.
Qui sta ciò che è estremamente interessante in Adolescence, in quanto non fa vedere solo degli adolescenti che hanno perso il rapporto con la realtà: i primi a perdersi sono stati, sono gli adulti, sono loro a dover non assorbire il colpo, ma sentire fino in fondo il bruciore della ferita che fa imbattere con la realtà.
Così il vero tema di Adolescence è la realtà: un adolescente oggi è fragile, la realtà gli fa paura, è difficile, non riesce ad accettarla, che una ragazza lo rifiuti è insopportabile, che un genitore dica di no non è nemmeno concepibile, tutto questo accade nell’adolescenza che può essere la difesa dalla realtà oppure la possibilità di ritrovare il rapporto con essa, e in questo che importanza decisiva possono avere gli adulti!
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