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Home » Food » AGROALIMENTARE CHOC/ “C’è un dazio Usa ‘nascosto’ che può far aumentare i prezzi fino al 50%”

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AGROALIMENTARE CHOC/ “C’è un dazio Usa ‘nascosto’ che può far aumentare i prezzi fino al 50%”

Int. Mauro Frantellizzi
Pubblicato 17 Luglio 2025
Mauro Frantellizzi (foto d'archivio)

Mauro Frantellizzi (foto d'archivio)

Dazi, Frantellizzi (Lactalis): agroalimentare, gli USA amano il Made in Italy, ma il 30% e la svalutazione del dollaro sono un peso difficile da sopportare

Difficile quantificare la caduta dell’export italiano se i dazi USA rimarranno al 30%, come annunciato da Trump. Di certo, oltre all’aumento delle tariffe, spiega Mauro Frantellizzi, direttore Lactalis Italia Export, bisogna tenere conto anche di un altro elemento, una sorta di dazio nascosto, rappresentato dalla svalutazione del dollaro. Se si sommano questi due fattori, per l’agroalimentare italiano sarebbe come imporre un dazio del 50%.


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È evidente che una crescita del genere potrà mettere in difficoltà la vendita di prodotti italiani nei supermercati statunitensi, ma anche nei ristoranti italiani in America, molto numerosi. Un accordo, comunque, dovrebbe essere vantaggioso per tutt’e due le parti, per gli operatori italiani e per quelli americani, che distribuendo i nostri prodotti nel loro Paese sviluppano una filiera che crea valore anche per l’economia a stelle e strisce.


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Il ministro Giorgetti dice che sopra il 10% i dazi USA diventano insostenibili: è una quota che può fare da riferimento per le trattative?

Noi partiamo da questo presupposto: gli Stati Uniti manifestano un grande amore per il Made in Italy. Sono il primo paese extra-UE per importazioni di tutto l’agroalimentare. L’esportazione in questo settore verso gli Stati Uniti è cresciuta molto negli ultimi anni: per quanto riguarda i formaggi, ha fatto segnare il 10% in più nel 2024. C’è una grande attenzione per l’autenticità delle nostre eccellenze.

In questa crescita scontiamo dazi precedenti all’ulteriore aumento previsto ad agosto, che ci ponevano già prima all’interno di una fascia di prodotti più cari rispetto a quelli domestici. All’aumento previsto del 30% va aggiunto poi un “dazio nascosto”, dovuto alla svalutazione del dollaro. In questo momento vale intorno al 20% rispetto a circa un anno fa. Significa che oggi un importatore americano che compra i nostri prodotti pagherebbe il 50% in più.


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Ci sono altri elementi poco conosciuti che pesano sulle esportazioni italiane?

Un altro grande driver della crescita che c’è stata negli Stati Uniti è la ristorazione italiana. Negli USA ci sono numerosi ristoranti italiani, che sono affezionati ai prodotti autentici importati dall’Italia. Anche questo settore potrebbe soffrire in maniera importante.

Chi compra i prodotti italiani in America? Le classi sociali più alte, che magari potrebbero avere meno problemi ad adattarsi agli aumenti?

Sicuramente si tratta di una classe medio-alta, ma non di prodotti di lusso. Mi fa sorridere quando sento dire che compreranno ugualmente, nonostante gli aumenti. Non dobbiamo dimenticarci che il problema si pone soprattutto per i supermercati, dimore dei prodotti di largo consumo, e per i ristoranti, dove l’accessibilità dei menu e dei prezzi deve essere presa in considerazione.

Penso che un aumento così importante dei dazi possa veramente generare una drastica caduta delle nostre esportazioni in virtù delle minori vendite ai clienti finali. Per questo ci auguriamo che le tariffe ipotizzate da agosto vengano negoziate dall’Unione Europea, arrivando a una sintesi migliore di quella che si prospetta attualmente.

Il 10% indicato da Giorgetti potrebbe essere accettabile?

Il 10% in realtà è la quota che c’è oggi su gran parte dei formaggi, quella che abbiamo pagato negli ultimi anni, un dazio accettabile, già esistente e che ha generato la crescita del 2024. Ci sono alcuni prodotti, come il pecorino romano, che non aveva dazi, che sconterebbe questi aumenti.

E si tratta di un formaggio che esporta negli Stati Uniti il 30-40% della sua produzione. Si parla sempre poco, comunque, della svalutazione del dollaro. Io sarei preoccupato già solo considerando questo elemento, anche se non ci fosse l’aumento dei dazi. Tutto ciò che arriva in più, naturalmente, genera una preoccupazione ancora maggiore, anche se si fa fatica a comprendere se la caduta dell’export possa essere del 30, 50 o 70%.

Che previsioni avete fatto finora?

Ci siamo basati su quello che era accaduto a cavallo tra il 2018 e il 2019, quando erano già stati introdotti dazi più alti, che hanno generato una caduta di circa il 15-20% a seconda delle varie categorie di esportazione. Poi tutto era rientrato perché Biden aveva sospeso i dazi e abbiamo visto ricrescere le vendite verso gli Stati Uniti. L’unico dato a cui possiamo fare riferimento è questo. Se nel 2019 c’è stata una caduta di quasi il 20% delle nostre esportazioni, temo che oggi un aumento del 30% dei dazi o addirittura del 50%, se si tiene conto della svalutazione del dollaro, possa generare una perdita doppia, addirittura del 40%.

Il commissario europeo Sefcovic è negli USA, mentre Trump nelle ultime ore ha fatto qualche dichiarazione più conciliante nei confronti della UE. Si arriverà a mettere d’accordo le parti? Un’intesa conviene a tutt’e due?

Penso di sì, anche se siamo parte di un dibattito più ampio, in cui evidentemente non si parla solo di formaggio. La risposta alla domanda, comunque, è che l’accordo converrebbe a entrambe le parti: l’esportazione dei formaggi italiani ha creato un valore anche per gli operatori degli Stati Uniti, per chi distribuisce nei supermercati o nei ristoranti. I prodotti italiani hanno mediamente delle valorizzazioni più alte di tutti i prodotti domestici, e questo valore è creato per la filiera statunitense.

(Paolo Rossetti)

 

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Tags: Donald TrumpDaziEconomia USA

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