Esiste un gruppo Facebook che raccoglie oltre 80 mila membri, prevalentemente “guidato” da atei o ex musulmani come si professano. Si chiama True Somali Freedom Page, e lo ha fondato Ayaanle che vive in Canada. La pagina è seguita e consultata da tutto il mondo e inizialmente si era proposta di dare spazio alle discussioni religiose; oggi promuove per lo più tutte le forme di libertà per i somali che si sentano marginalizzati dalla cultura dominante del Paese. Anche per questo i membri – si legge su BBC – riceve minacce di morte. Per esempio nella casella postale di Ayaanle, come lei stessa ha rivelato, sono comparsi messaggi che recitano “Ti troverò, ti ucciderò, ti taglierò la testa”. Lei stessa ha spiegato come è nata la pagina: quattro anni fa era stato rimosso da un gruppo Facebook che dichiarava essere uno spazio aperto per il dibattito, ma nell’esprimere le sue opinioni sulla religione si era sentito “come se avessi ucciso qualcuno”.
ATEI SOMALI MINACCIATI DI MORTE
Da lì è nata l’idea di creare una nuova piattaforma, con nuove regole: TSFP è dunque nata nella convinzione che tutti potessero dire la loro. Il problema è che, se anche tanti giovani sono più tolleranti e accettano il dibattito religioso, in Somalia l’argomento è ancora tabù: Ayaanle ha spiegato che l’Islam è intoccabile e non può essere criticato, e che anche chi oggi vive in Occidente – ma si è trasferito durante o dopo la guerra civile in Somalia – porta in sé la radicata convinzione che “se qualcuno critica l’Islam dovrebbe essere ucciso”. L’intento della fondatrice della pagina era proprio dimostrare come questa religione possa invece essere dibattuta e anche criticata, che non possa essere intoccabile. Una sfida alle leggi somale, che puniscono con la galera la blasfemia.
La pagina Facebook ha sponsorizzato la campagna per Mahmoud Jama Ahmed-Hamdi, un accademico che era stato arrestato per aver scritto – sempre sul social network – come le preghiere a Dio per alleviare la siccità potessero non essere valide; ha ricevuto un perdono presidenziale dopo 10 mesi di galera, ma è ancora a rischio di attacchi da parte dei vigilanti e un imam ha di fatto “ordinato” la sua esecuzione. Anche per questo motivo TSFP si preoccupa di aiutare le persone in difficoltà, anche materialmente: BBC ha riportato il caso di una cristiana residente in Kenya, presa con la forza da un taxi per essere stata identificata dopo aver lasciato un commento sulla pagina. Il gruppo è riuscito a spostarla in un altro Paese, dove ha trovato rifugio in una comunità cristiana.
“Sono piccoli passi, ma stiamo conquistando qualche cuore” ha poi detto Ayaanle. “Crediamo davvero che la gente dovrebbe credere in quello che vuole, ed essere chi vuole essere”. La fondatrice del gruppo ha anche detto che essersi distaccati dalla religione islamica non significa aver abbandonato la sua identità somala, anzi adesso si sente molto più legata al suo Paese come se avesse ritrovato la sua vera natura. La vera missione della pagina Facebook è quella di creare un ambiente che promuova la libertà di espressione e di parola. Qualcosa che, ha confidato, crede che oggi serva alla popolazione somala più che mai.