Sono tornate le proteste dei No-Tav in val di Susa con attacchi ai cantieri e un blocco dell'autostrada tra Torino e Bardonecchia
C’è il corteo delle 18, e non so cosa mettermi! Ah, e poi su cosa protestiamo oggi? Su Gaza? No? Su Kiev? Neanche? Ah, ma certo, sulla Tav!
Come un remake di un film in bianco e nero, come Ben Hur su Raiuno a Pasqua, come il concerto di Capodanno, è tornata la protesta dei No-Tav contro “i cantieri della devastazione”. E vabbè. Facciamocene una ragione.
Qualche centinaio di attaccabrighe – niente di più – hanno dissotterrato un’ascia di guerra che stava arrugginendosi da qualche mese per ribadire il loro “no” a un’opera altamente ecologica (il treno va a corrente elettrica, e di per sé non inquina, e toglie dalle strade migliaia di mezzi fumiganti che stra-inquinano). Perché allora protestare? Che senso ha? Che costrutto ha?
Da destra hanno tuonato, e c’era da aspettarselo!: “Atti vergognosi”, li ha definiti il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che, nell’esprimere “solidarietà e vicinanza” alle forze dell’ordine, li condanna “con fermezza”. Una medaglia al disvalore, per gli interessati: come dirgli “bene, bravo, bis”… Forse era meglio aggiungere un po’ di sarcasmo.
Già: perché in realtà raramente la sproporzione è stata maggiore, nella storia delle proteste di piazza italiane, tra l’aggressività dei protagonisti e il loro isolamento nel Paese. Rappresentano se stessi, cioè pochissimi appassionati del genere. “Qualche centinaio”, dicono le cronache, e verrebbe da aggiungere “secondo le forze dell’ordine”; “molte migliaia”, dicono le fonti ufficiose dei comitato organizzatori.
Ma, comunque si voglia convenire sui numeri in ballo, con buona pace di questo stillicidio di proteste, il fronte no-Tav non ha ottenuto nessun risultato, salvo forse qualche aggiunta di ritardo in un’opera che è già stra-in-ritardo per ragioni tutte sue…
Alla fine dell’aprile scorso è stato completato circa il 25% delle gallerie nella sezione transfrontaliera sotto le Alpi, pari a circa 41 chilometri su un totale di 162 (comprensivi di tunnel principali e gallerie accessorie), dicono le fonti ufficiali. Ma il tunnel di base, di 57,5 chilometri, è previsto al completamento per il 2032/2033. Insomma, si procede. Ma l’opera è imponente, richiede tempo, c’è ancora tanto da attendere: e quindi tanto da protestare.
Quel che salta agli occhi, però, è quanto queste proteste appaiano decorrelate dal contesto. Un contesto in cui davvero è nell’angolo tutto l’ambientalismo italiano ed europeo, quello che al contrario cinque anni fa era stato talmente estremista da colpire al cuore l’industria dell’auto tedesca, ad esempio; quello che voleva mettere al bando il motore termico dal 2035.
Tutto andato per aria, ogni scadenza saltata, il trumpismo che irride a quei protagonisti e ai loro slogan, peraltro tra gli applausi di quegli stessi “tycoon” voltagabbana che ieri si vestivano di verde, anche a Quaresima, come il capo di Blackrock Larry Fink e molti altri. Dunque che vale oggi protestare, per giunta contro un’opera in sé ecologicamente benemerita?
Varrebbe la pena, se questa protesta fosse indirizzata ai trasformisti dell’ambientalismo, ai politici bugiardi alla Frans Timmermans che, dopo aver inguaiato l’Europa con il Green Deal e aver constatato che ciò non bastava a dargli la riconferma in Commissione europea, ha rinunciato a salvare il mondo dedicandosi a salvare la sua poltrona, e riuscendoci, sia pure in parte, perché il suo movimento politico, l’alleanza GroenLinks–PvdA, ha perso le elezioni, ma lui nel Parlamento dell’Aja una poltroncina se l’è ritagliata, ed è sempre meglio che niente.
Sarebbe una bella protesta se fosse indirizzata contro i colossi della tecnologia, che inquinano a più non posso strafregandosene, e che invece anche l’Europa accarezza ormai per ingraziarsi il loro tutore Trump, ma si accingono – vedansi i 9.000 tagli già annunciati da Microsoft – ad applicare l’Ai per risparmiare personale.
È sempre bella la protesta che si batte per i più deboli, per gli emarginati, gli ultimi, gli esclusi. Ma per essere così lucida e finalizzata richiede cervello, studio, ideali. Per cosa si batta invece la protesta contro un’opera dall’evidente dividendo ecologico, veramente è difficile capirlo. Tafferugli fini a se stessi? Che abbia ragione il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, quando dice che “non si è trattato di dissenso, ma di un vero e proprio atto di guerriglia urbana”?
Ci vuole tanta pazienza per non invidiare gli autocrati che risolvono per le spicce situazioni del genere. Ma è il bello della democrazia: il dissenso si rispetta. Il teppismo no, però.
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