Attentato a Papa Giovanni Paolo II, “c’è pista armena dietro Ali Agca”/ Le minacce in 200 documenti inediti

- Silvana Palazzo

Attentato a Papa Giovanni Paolo II, ricostruita la "pista armena dietro Ali Agca". Lo scrittore Ezio Gavazzeni parte da 200 documenti inediti in cui vi sono le minacce al Vaticano

Ali Agca e Papa Papa Giovanni Paolo II incontro Ali Agca in carcere a Rebibbia nel 1983 (LaPresse)

Una pista armena potrebbe portare all’attentato a Papa Giovanni Paolo II. A sollevare l’ipotesi è Ezio Gavazzeni, autore di un libro che parte da un misterioso plico spuntato in un armadio all’Archivio centrale di Roma, pieno di documenti che potrebbero riscrivere la storia dell’agguato al Papa. Nessuno finora ha scoperto qual è davvero il motivo per il quale Ali Agca volesse uccidere il pontefice polacco. Secondo lo scrittore milanese, «la verità è nei 175 documenti originali provenienti da ministero dell’Interno, Palazzo Chigi, servizi segreti tra il 1979 e il 1985». Ne parla al Giornale, spiegando che questi documenti «dimostrano come in quel periodo, fino al 1983 l’esercito segreto di liberazione dell’Armenia che operava a Beirut, meglio noto come Asala, minacciava di morte Karol Wojtya». Questo perché «c’era un’organizzazione governo/Vaticano che esfiltrava gli armeni dall’ex Urss, li portava a Roma in pensioni convenzionate (secondo la dicitura del Viminale, ho l’elenco quasi completo), poi venivano portati al consolato Usa, schedati e mandati Oltreoceano».

Minacce concrete secondo i dispacci visionati da Gavazzeni. Si parla dei rapporti tra Asala e Olp, dei legami con l’Unione sovietica e di almeno 200 attentati in Europa, tra cui l’omicidio dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede del 9 giugno 1977 e la bomba alla vigilia di Natale di due anni dopo alla pensione Dina di Roma, «una delle pensioni che ospitavano gli armeni» e che sarebbe collegata all’esfiltrazione degli armeni. L’Asala il 4 ottobre 1980 fece saltare in aria la sede di Madrid di Alitalia e la rivendicazione da Beirut recitava: «Questi uffici lavorano per l’emigrazione del nostro popolo armeno dal Medio Oriente (…) il ruolo principale in questo è del governo del Vaticano e del suo partito massone e del governo italiano». In un telegramma del ministero degli Interni del 26 agosto 1980, il capo cerimoniere, ambasciatore Marcello Guidi, scriveva: «Seguito contatti per le vie brevi confermasi quanto informato circa minacce contro il santo Padre da parte di gruppi terroristici armeni…».

LE MINACCE AL VATICANO

Le minacce erano così concrete che, stando a quanto ricostruito da Ezio Gavazzeni tramite l’analisi dei documenti, alla fine del 1980 il ministero dell’Interno mandò un telegramma riservato, firmato dal capo della Polizia Rinaldo Coronas, in cui confermava l’allarme. Inoltre, mesi dopo l’attentato a a Papa Giovanni Paolo II, fonti della polizia ipotizzarono «un attentato di matrice armena contro la caserma delle guardie svizzere di via Porta Angelica». Come evidenziato dal Giornale, ci sono carte che evocano un possibile sequestro dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede in cambio del rilascio di Ali Agca. La diplomazia si attivò.

«C’è una trattativa, viene coinvolto il solito Stefano Giovannone, nome in codice Maestro (che morirà nel 1985, ndr), agente segreto italiano che a Beirut è di casa dal 1946. Ci sarebbe una riunione riservata, ne parla un documento Sismi, si fanno i nomi di Giovannone, di Abu Hol (responsabile sicurezza dell’Olp) legato al numero uno Sismi Ninetto Lugaresi, dell’ambasciatore Franco Lucioli Ottieri e del suo segretario Abu Jafar, si parla dell’operazione Erivan per provare a tener l’Italia fuori dall’offensiva terroristica di Asala», spiega lo scrittore milanese. Ci sarebbero altri documenti a confermare la trattativa. L’accordo fu chiuso nel 1982 grazie a Giovannone, con l’Asala che puntò altrove, ma nel 1983 il Viminale riferì che un sedicente militante chiamato Terzian aveva telefonato all’Ansa di Ankara annunciando in turco: «Domenica (28 agosto, ndr) il Papa morrà». Quindi, la sorveglianza su Castelgandolfo, dove il pontefice avrebbe dovuto tenere l’Angelus, fu rafforzata ai massimi livelli.

ATTENTATO A WOJTYLA, IL RUOLO DI ALI AGCA

Per capire cosa potrebbe c’entrare Ali Agca con gli armeni bisogna tener presente due piste. Una sfiora il rapimento di Emanuela Orlandi. Durante una telefonata, infatti, uno dei carcerieri anonimi fece un lapsus parlando di Asala anziché di Ansa. Era un errore o un depistaggio? «Ho scoperto che Agca nel 1977 si è addestrato a Beirut, nel campo gestito dalla formazione guidata da George Habbash, vale a dire il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, legato a Asala. Al campo di addestramento sarebbe stato accompagnato dalla Turchia via Damasco (e riportato in Turchia) da tale Teslim Tore, istruttore in quel campo e suo amico, anzi suo mentore», spiega Ezio Gavazzeni al Giornale. Lo scrittore racconta che Agca sarebbe entrato segretamente in Siria a 19 anni e che fu portato in un campo di guerriglia da Teslim Tore, «noto anche come il Palestinese per i suoi contatti con le organizzazioni di guerriglia marxiste-leniniste palestinesi. Stessa cosa nel 1978 stavolta in un campo di Habbash in Siria». Tore era legato a doppio filo ad Asala. «Nel peregrinare in Europa nei due anni precedenti all’attentato, Agca frequenta parecchi armeni e finanziatori di Asala. I Lupi grigi avevano effettivamente preso il controllo della scuola superiore di Agca durante i suoi ultimi due anni lì, Agca era amico di alcuni di loro, ma non ne era mai stato membro».

LE OMBRE SULL’ATTENTATORE DEL PAPA

Dunque, Ali Agca sarebbe stato sul libro paga segreto di qualcuno. «Ci sono registri bancari che dimostrerebbero come a 19 anni un povero studente originario di Malatya era in realtà un membro avido di un’organizzazione clandestina». Ma la prima registrazione, per 2mila dollari circa, fu depositata da qualcuno che sosteneva di essere Agca, ma la firma non era la sua. L’attentatore del Papa lavorò sotto la diretta tutela di Abuzer Ugurlu, un noto “padrino” della mafia turca di casa al consolato bulgaro a Istanbul, si accompagnò a tale Oral Celik (legato ai bulgari) e collaborò con i Lupi grigi. Secondo Gavezzeni era una specie di copertura «per indurre anche i terroristi di destra a sostenere obiettivi antioccidentali e anti capitalismo», con l’obiettivo di ostacolare l’influenza dell’Occidente sulla Turchia. Ali Agca, infatti, ha dichiarato di non essere mai diventato un Lupo Grigio e di non essersi unito all’altro movimento di destra fuorilegge guidato da Turkes, il Partito d’azione nazionale. Ma parlando dei suoi rapporti con Tore si sarebbe contraddetto: «Al giudice Ferdinando Imposimato dichiarerà di essere andato ad addestrarsi nel campo di George Habbas una volta sola, nel 1978. Invece è andato due volte e sempre favorito dal Teslim Tore prima a Beirut e poi in Siria». Perché mentire? Ma il Giornale svela anche un’ultima curiosità: Agca fu subito identificato come armeno, fu lui a dire di essere turco.





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