Ieri la Bce ha lasciato i tassi invariati, ma si possono trarre alcune interessanti considerazioni dal comunicato dell'Eurotower

Il Consiglio direttivo della Bce ha stabilito nella riunione di ieri di lasciare invariati i tre tassi di interesse di riferimento coi quali viene attuata la politica monetaria. Si tratta della terza riunione consecutiva del board che si conclude col medesimo esito, a conferma che il percorso di riduzione dei tassi avviato con grande ritardo nella primavera del 2024 sembra essere ormai pervenuto alla sua conclusione.



Al termine della riunione la Bce ha emesso uno stringatissimo comunicato stampa col quale ha sostenuto che in sostanza l’inflazione si è ormai attestata attualmente sul livello corrispondente all’obiettivo di medio termine del 2% e che non vi sono variazioni nella valutazione delle prospettive di inflazione nel consueto orizzonte temporale triennale di osservazione. In conseguenza i tassi di interesse applicati dalla Bce restano invariati sui seguenti valori: sulle operazioni di rifinanziamento principali delle banche ordinarie al 2,15%; sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 2,40%; sui depositi delle banche ordinarie presso la banca centrale al 2%.



Il comunicato riporta inoltre una sintesi delle proiezioni degli esperti della Bce che restano sostanzialmente invariate rispetto all’esercizio previsivo condotto lo scorso giugno. L’inflazione generale dei prezzi al consumo a livello di euro area si collocherebbe pertanto al 2,1% in media d’anno nel 2025, all’1,7% nel 2026 e all’1,9% nel 2027, dunque negli ultimi due periodi lievemente al di sotto del target del 2%.

Invece l’inflazione al netto della componente energetica e alimentare, i due segmenti più soggetti a oscillazioni, si attesterebbe al 2,4% nel 2025, all’1,9% nel 2026 e all’1,8% nel 2027, dunque poco sopra il dato generale nell’anno in corso e sostanzialmente in linea nei due seguenti. Infine l’economia dell’euro area dovrebbe crescere dell’1,2% nel 2025, un dato superiore rispetto allo 0,9% della previsione di giugno, mentre il dato previsto per il 2026 è stato corretto al ribasso e posto all’1,0%, lasciando invece invariato all’1,3% quello del 2027.



La sede della Commissione europea a Bruxelles (Ansa)

Accanto a questi freddi numeri la Bce non esplicita tuttavia alcune considerazioni che da essi possono essere invece facilmente tratte. La prima è che l’inflazione è ormai, e da tempo, al livello del target Bce del 2% e non vi è alcun rischio che possa riportarsi al di sopra nell’arco del triennio. Anzi, considerando che gli alti dazi di Trump rendono difficoltose le esportazioni negli Usa da parte delle grandi economie mondiali in via di sviluppo, l’Europa potrebbe beneficiare di prezzi all’import decrescenti in considerazione dell’abbondanza di prodotti non più destinati al mercato americano. Dunque l’inflazione al consumo potrebbe risentirne al ribasso.

Anziché sostenere questo la Bce torna invece a trincerarsi dietro il suo mantra secondo cui “il Consiglio direttivo è determinato ad assicurare che l’inflazione si stabilizzi sull’obiettivo del 2% a medio termine”, cosa che sappiamo in realtà da quando la Bce è stata fondata, e in secondo luogo a ripetere che le future decisioni dipenderanno dall’osservazione dei futuri dati, come se effettuare previsioni e orientare le aspettative non rientrasse nei sui compiti…:

“Le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di interesse saranno basate sulla valutazione delle prospettive di inflazione e dei rischi a esse associati, considerati i nuovi dati economici e finanziari, nonché della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, senza vincolarsi a un particolare percorso dei tassi”. Un’affermazione che qualche critico potrebbe però così tradurre: “Non abbiamo idee precise su come andrà l’inflazione, dunque aspetteremo i dati e in base ad essi decideremo”, che non rende esattamente l’idea di un’interpretazione estensiva del mandato.

La seconda cosa che la Bce non dice è che una crescita attorno o di poco superiore all’1% all’anno per l’intero triennio è decisamente scarsa e anche se favorire la crescita non rientra tra i suoi compiti statutari una qualche forma di segnalazione, di “moral suasion”, forse dovrebbe essere fatta. Tra il silenzio sulla crescita da parte della Bce e il silenzio che è sceso sul rapporto Draghi dall’altro, da qualche parte nella Commissione europea qualcuno dovrebbe sul tema battere un colpo.

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