Lagarde e Trichet sembrano cavalcare oggi una doppia isteria, francese ed eurocratica: contro gli Usa e contro l’Ue dei partiti conservatori
Christine Lagarde al summit dei banchieri centrali di Jackson Hole si è mostrata preoccupata soprattutto che l’Europa tenga le sue porte aperte ai migranti, quando la Germania sta invece guidando la Ue a una correzione restrittiva delle politiche di accoglienza.
La presidente Bce non ha poi mancato di suggerire nuove sanzioni alla Russia nell’infinita crisi ucraina, quando gli Usa stanno invece producendo il massimo sforzo per porre termine al conflitto. In breve: la banchiera Lagarde – all’esclusiva summer reunion dei signori delle monete sul pianeta – ha fatto essenzialmente politica.
Ha perfino polemizzato direttamente con Donald Trump, quando preme sul presidente della Fed Jerome Powell mettendo in discussione definitiva il mantra globalista dell’indipendenza delle banche centrali, e cioè la legittimità del potere “separato” e assoluto acquisito dalle banche centrali su monete e tassi, mercati azionari, debiti pubblici e credito alle imprese.
Jean Claude Trichet – ex presidente della Bce – è stato dal canto suo lestissimo ad applaudire l’ultima uscita del suo successore italiano Mario Draghi, a sua volta predecessore di Lagarde. Un intervento – quello al Meeting di Rimini – che ha fatto parecchio rumore perché è parso mettere nel mirino l’attuale Commissione Ue, guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen. Una politica (è stata candidata di punta vincente del Ppe all’ultimo eurovoto), accusata oggi di “rassegnazione” europea verso l’America di Trump.
Lagarde e Trichet sono entrambi francesi. La prima è stata designata alla Bce dal presidente tecno-centrista Emmanuel Macron, grazie a un curriculum essenzialmente politico, radicato nel ruolo di ministro delle Finanze sotto la presidenza neogollista di Nicolas Sarkozy.
Il secondo – già governatore della Banca di Francia – avrebbe dovuto essere fin dal 1999 il primo banchiere centrale dell’euro, su indicazione del presidente neogollista Jacques Chirac. Trichet è poi salito al vertice Bce nel 2003, dopo un semi-mandato d’esordio affidato all’olandese Wim Duisenberg. L’ultimo atto del banchiere francese è stata l’austerity imposta nell’estate 2011 all’Italia, a doppia firma con l’entrante Draghi, su pressione di Berlino e Parigi non meno che dello spread.
Lagarde e Trichet rimangono comunque espressione genuina della tradizione istituzionale di un Paese in cui politica e tecnocrazia sono indissolubili nel rendere para-autoritaria la governance interna e nazionalista quella esterna. Soprattutto quando all’Eliseo siede un esponente del centro moderato, pur malconcio e screditato come oggi Macron.
Lagarde e Trichet sembrano rispettare questa tradizione quando paiono incarnare e cavalcare oggi una doppia isteria, francese ed eurocratica: contro gli Usa e contro una “nuova Ue” che rispecchia una fisionomia politico-istituzionale decisamente mutata. In particolare le diverse forze della destra europea (vincenti in termini elettorali in Europa sia nel 2019 che nel 2024; e in Italia, Germania e Francia) sono entrate nella stanza dei bottoni di Bruxelles, mentre la Ue pare aver trovato nel 2025 un asse inedito fra Berlino e Roma, due Paesi caratterizzati da stabilità politica e relativa resilienza economico-finanziaria. La Francia è invece paralizzata in una crisi-Paese sempre più grave. E l’impasse ha contorni ormai grotteschi.
Macron – sfiduciato dal suo Paese e da un anno in minoranza parlamentare – pare aver trasformato l’Eliseo in un bunker, vestendo i panni caricaturali del generale de Gaulle. Nelle ultime ore il presidente francese – umiliato al summit di Washington – non ha trovato nulla di meglio che convocare l’ambasciatore americano a ruota di quello italiano per protestare contro passi di presunta lesa maestà.
Nei fatti Macron si affanna per accreditare come offese personali – o alla Francia – questioni geopolitiche sostanziali: la grave ripresa dell’antisemitismo in Francia (in Europa) e l’impuntatura “napoleonica” di Parigi nell’inviare truppe europee in Ucraina, cui si sono detti contrari entrambi i vicepremier italiani, Antonio Tajani e Matteo Salvini.
Non è facile dire se a Draghi possano far piacere – o tornare in qualche modo utili – gli abbracci-endorsement da parte dei due colleghi francesi. Nelle cui sortite è difficile non sospettare qualche strumentalità: Trichet è “en reserve” per un ennesimo governo tecnico macroniano; Lagarde corre già per una successione “di salute pubblica” all’Eliseo, in funzione anti-Le Pen.
Fino a prova contraria l’ex premier tecnico italiano ha invece rilanciato con forza a Rimini un’agenda di analisi e raccomandazioni preparate già l’anno scorso su richiesta di von der Leyen, riconfermata alla Commissione.
Quel che però appare indubitabile è che i “comizi” di Lagarde e Trichet non contribuiscono a fugare congetture e illazioni su una controffensiva in cantiere da parte delle élites eurocratiche. Magari anche sull’asse del “Trattato del Quirinale” fra Italia e Francia, siglato nel 2021 fra Macron e Sergio Mattarella con la controfirma di Draghi, benché in Italia la Costituzione dica che il governo del Paese spetta a un esecutivo democraticamente responsabile di fronte a un Parlamento eletto, non al Quirinale e neppure a banchieri centrali. A maggior ragione quando proclamano la loro indipendenza dalla sovranità democratica.
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