I rimpianti di Pierluigi Bersani per il Governo mancato nel 2013: lo streaming con Grillo, lo Ius soli in CdM e l'elezione di Prodi al Quirinale
LA “CITTADINANZA” E LA MOSSA DI BERSANI NEL 2013 (SENZA ALCUN ESITO): IL RETROSCENA PRIMA DELLO STREAMING CON GRILLO
Quando si parla di crisi istituzionale e di governabilità in Parlamento forse non tutti ricordano cosa avvenne con il Pd dell’allora Segretario Pierluigi Bersani la sera del 25 febbraio 2013, dopo i primi risultati delle Elezioni Politiche post-Governo Monti: tre blocchi tutti tra il 25 e il 30%, nessun vero vincitore e una lunga fase di consultazioni che portò alla nascita solo nell’aprile successivo del Governo Letta. Ma su tutti, lo choc maggiore fu per il Partito Democratico che avrebbe dovuto secondo i sondaggi stravincere quelle Elezioni, con Bersani che sarebbe diventato Presidente del Consiglio.
E invece quel 29,5% raccolto dai Dem – davanti al 29,1% del Centrodestra di Berlusconi e il 25,8% del M5s di Beppe Grillo, all’esordio assoluto dopo i Governi tecnici e la crisi economica del 2011 – non portò che due mesi di caos politico che vide implodere la candidatura del Premier incaricato Bersani. Chiacchierando con Tommaso Labate in una lunga intervista sul “Corriere della Sera” è lo stesso ex Segretario Pd, nonché fondatore di Articolo 1, a ricordare quei mesi tribolati tra il famoso “streaming” con Grillo e la nomina del Presidente della Repubblica con Sergio Mattarella, dopo però la caduta della candidatura di Romano Prodi.
Bersani ammette il rimpianto per quello che non riuscì a concretizzarsi come il “suo” Governo, e che di fatto segnò la sua esperienza alla guida del Partito Democratico con l’avvento del “nemico giurato” Matteo Renzi: «il rimpianto è per quello che volevo fare nel primo CdM».
Secondo il politico piacentino, nel silenzio generale anche con i suoi stessi eventuali Ministri, Bersani avrebbe voluto portare in CdM il decreto legge per approvare lo Ius soli. Bandiera (oggi) per le forze del “campo largo progressista”, la legge sulla cittadinanza per chiunque sia nato in Italia secondo Bersani sarebbe dovuta essere approvata già in quel primo CdM se non vi fosse stato il (presunto) tradimento del Movimento 5Stelle e poi l’impallinamento (politico) di Prodi come potenziale Presidente della Repubblica.
DALLO IUS SOLI AI FRANCHI TIRATORI: LE RIVENDICAZIONI DI BERSANI CONTRO LA SUA STESSA SINISTRA
La rivendicazione di Bersani però non è solo contro l’ala renziana del Pd che all’epoca contribuì a scalzare la leadership della sinistra progressista da Largo del Nazareno, ma è in generale contro la maggioranza Dem che non sostenne appieno sia il possibile Governo Bersani che la candidatura di Prodi per il Quirinale.
Ancora al “Corriere” è l’ex Ministro del Lavoro che riflette su come avrebbe voluto portare lo Ius soli in Cdm, senza avvisare nemmeno i suoi Ministri: addirittura racconta di aver voluto far trapelare la notizia di un Consiglio dei Ministri conoscitivo, salvo poi presentare un decreto legge per il tema della cittadinanza. Secondo il suo ragionamento (fatto però oggi, a 12 anni da quel periodo storico, ndr), inizialmente nessuno avrebbe potuto votare contro il Presidente del Consiglio appena nominato: non solo, Bersani avrebbe posto le sue dimissioni come minaccia politica qualora il decreto non fosse stato poi convertito in legge in Parlamento.
Non avvenne però nulla di tutto questo, non venne trovata una maggioranza stabile tra Pd e M5s e alla fine si arrivò al Governo Letta con inizialmente anche parte del Centrodestra in una sorta di concordia nazionale che si ruppe poi dopo il fallimento del Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi nel 2014. La fine del Pd di Bersani avvenne invece con quei 101 franchi tiratori che affossarono Prodi al Quirinale, e di fatto anche l’esperienza del Segretario Dem: ammette di conoscerne almeno una settantina che votarono contro in casa Centrosinistra, ma non tutti «erano renziani», v’erano soprattutto quelli a sinistra che «volevano far fuori Prodi e quelli che volevano far fuori me».
