Bestemmie tra i bambini: da YouTube Kids ai brainrot meme, l’allarme degli psicologi e il fallimento dei filtri algoritmici nell’era dell’IA

In un asilo di Trento, un bambino di appena due anni ha ripetuto una bestemmia davanti agli educatori lasciando tutti di sasso ma anche facendo emergere domande più profonde e urgenti in quanto non si è trattato di un episodio isolato ma della punta di un iceberg digitale che affonda le sue radici in un universo mediatico apparentemente pensato “a misura di bambino” e che invece si rivela sempre più permeabile a linguaggi tossici, contenuti disturbanti e scenari educativi inadeguati.



Da YouTube Kids – ritenuto da molti genitori uno spazio sicuro – ai meme deformi e surreali noti come brainrot – generati da intelligenze artificiali che imitano le logiche dell’umorismo virale e le deformano in modo inquietante – i più piccoli si trovano ogni giorno a interagire con materiali volgari e destabilizzanti, spesso presentati da pupazzi colorati o personaggi animati che imitano cartoni noti, con ritmi orecchiabili e formule linguistiche che li rendono ancora più attraenti.



Secondo Roberta Bommassar – presidente dell’Ordine degli Psicologi di Trento – i bambini molto piccoli non capiscono il senso delle parole che pronunciano, ma ne assorbono il ritmo, la musicalità e soprattutto la reazione provocata negli adulti e questo meccanismo li porta a trasformare anche una bestemmia in un gioco, in una provocazione, in una formula da ripetere per attirare l’attenzione o testare i limiti dell’ambiente che li circonda; il problema, però, è reso ancora più pericoloso dall’incapacità degli algoritmi di distinguere tra reale e surreale tra satira opinabile e linguaggio inaccettabile.



I filtri automatici basati sul machine learning (che dovrebbero teoricamente proteggere le piattaforme destinate ai minori) falliscono sistematicamente quando si trovano davanti a contenuti che sfuggono ai parametri tradizionali di classificazione, lasciando passare con facilità video dove animali parlanti e pupazzi glitterati intonano bestemmie e insulti come fossero filastrocche.

Nemmeno l’analisi approfondita, né la scansione degli audio, sembrano bastare di fronte alla natura volutamente assurda dei brainrot meme, che riescono a eludere i controlli proprio grazie al loro essere fuori da ogni schema – troppo stupidi per sembrare pericolosi, troppo rapidi per essere intercettati in tempo da un adulto – tutto ciò è la dimostrazione che nessun algoritmo, per quanto sofisticato o aggiornato, potrà mai sostituire il filtro del giudizio umano, della presenza consapevole di un adulto accanto al bambino.

Bambini e bestemmie: dal digitale alla realtà quotidiana, un fenomeno sempre più precoce

Oggi la questione delle bestemmie tra i più piccoli non è più solo tecnologica, ma diventa profondamente educativa e culturale, perché i bambini assorbono ogni segnale che li circonda anche quando non sono ancora in grado di comprenderlo razionalmente o di decodificarne il contenuto e tendono a interiorizzare linguaggi e comportamenti come se fossero parte integrante della realtà che imparano a esplorare.

Così, le bestemmie o l’insulto sentito per caso – magari da un video “safe for kids” su YouTube – diventa un suono familiare, una parola da sperimentare e da ripetere per osservarne gli effetti ma il rischio – secondo gli esperti – è una precoce normalizzazione della volgarità, che si insinua nel linguaggio quotidiano e che diventa difficile da sradicare col passare del tempo.

Fenomeni come l’Elsagate – che qualche anno fa aveva portato sotto i riflettori contenuti violenti e disturbanti con protagonisti i personaggi Disney – oggi sembrano quasi ingenui se confrontati con la precisione ambigua e controversa dell’intelligenza artificiale che non si limita più a diffondere video ma li crea autonomamente combinando immagini, testi e suoni per generare prodotti nuovi, inquietanti e difficili da intercettare.

In questo scenario, le contromisure suggerite dalle big tech appaiono del tutto inadeguate: Google – ad esempio – consiglia ai genitori di attivare solo i contenuti “approvati manualmente” ma questo richiede un impegno costante che molte famiglie non riescono a garantire anche perché spesso si tende a fidarsi ciecamente di piattaforme che promettono sicurezza senza poterla assicurare davvero.

Gli psicologi raccomandano invece risposte calibrate all’età: nei bambini sotto i tre anni, ignorare le prime bestemmie può impedire che diventino uno strumento per attirare attenzione, dai quattro anni in su, è invece fondamentale spiegare con calma e fermezza che alcune parole possono ferire, che il linguaggio ha un potere e che ogni parola porta con sé delle conseguenze senza però trasformare la questione in un tabù, perché il proibito – si sa – ha sempre un’attrazione ancora maggiore.