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Home » Energia e ambiente » BLUEMISSIONMED/ Le scelte europee e Italiane per “rigenerare” il Mar Mediterraneo

  • Energia e ambiente
  • Economia UE
  • Economia e Finanza

BLUEMISSIONMED/ Le scelte europee e Italiane per “rigenerare” il Mar Mediterraneo

Stefania Debora Gandini
Pubblicato 20 Settembre 2025
Foto di Jahoo Clouseau da Pexels

Foto di Jahoo Clouseau da Pexels

Il Mar Mediterraneo è oggetto di uno specifico progetto della Commissione europea, chiamato BlueMissionMed

Il Mediterraneo è un mare che non si fa notare per le sue dimensioni, ma altre cifre che lo caratterizzano sono piuttosto importanti. Con meno dell’1% della superficie oceanica mondiale, è sicuramente uno dei mari più solcati e sfruttati del pianeta.

I dati dell’International Maritime Organization riportano che sopporta circa il 25% del traffico marittimo globale e anche l’Organizzazione mondiale del turismo ritiene che detenga quasi il 30% del turismo internazionale.


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La pressione ambientale a cui è sottoposto è davvero forte per un mare con pochi sbocchi e con tempi di rinnovo delle acque molto lunghi, anche di decine d’anni. Ecco che l’attenzione della Commissione europea si focalizza prima su una fotografia del suo stato di salute, evidenziando che purtroppo, sulla base dei dati del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, ogni giorno circa 730 tonnellate di plastica inquinano il Mediterraneo (più o meno 33.000 bottigliette al minuto). Ancora peggiore è il dato che vede 1,25 milioni di frammenti plastici per km², almeno quattro volte superiore a quella dell’Oceano Pacifico.


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Con l’emergenza Mediterraneo tra le mani, Bruxelles lo ha scelto come bacino pilota della Missione Restore our Ocean and Waters by 2030, prevista per rigenerare mari e acque nell’ambito di Horizon Europe, il più completo progetto europeo per la ricerca a sostegno della transizione ecologica. Nasce quindi BlueMissionMed, progetto di coordinamento – finanziato dall’Ue con soltanto 3 milioni di euro – per il triennio 2023-2025. Ma proprio per il suo budget ridotto si capisce subito che è diverso dagli altri programmi europei di investimenti.

Entrando nella struttura del progetto, vediamo che BlueMissionMed ha istituito sette hub – in Italia, Francia, Spagna, Grecia, Tunisia e Turchia – dove si connettono università con centri di ricerca, imprese con Ong e istituzioni pubbliche. L’idea è che ogni hub dovrebbe affrontare una diversa tematica per trovare soluzioni alle varie tematiche e che siano replicabili in altre aree. Importante, inoltre, che abbia un intento condiviso, basato sul principio che il mare è un bene comune.


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In Italia, l’organismo che coordina il cosiddetto Mediterranean Lighthouse è il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), sostenuto dal ministero dell’Università e della Ricerca, dalla Regione Siciliana e dall’Università di Palermo; la missione italiana lavora prevalentemente sul riciclo dei materiali e sulla lotta all’inquinamento da plastica. In Grecia, ad esempio, la mission dell’Hellenic centre for marine research (Hcmr) è la mappatura delle soluzioni tecnologiche e il monitoraggio della qualità delle acque, mentre la Turchia ha il compito di coniugare le strategie del Mar Nero con quelle per il Mediterraneo.

Tornando all’Italia – che si afferma come il Paese più creativo e proficuo nel presentare soluzioni innovative – il Cnr ha censito nel 2024 oltre 200 progetti, che spaziano dal riciclo delle reti da pesca, che possono essere trasformate in tessuti tecnici e arredi urbani, a processi innovativi per convertire plastiche non riciclabili in oli combustibili e gas di sintesi.

Oltre a soluzioni e invenzioni tecnologiche, è stata scelta l’isola di Lampedusa, fra quelle più esposte alla pressione del turismo e alla pressione ecologica, come banco di prova per soluzioni replicabili in altre aree mediterranee, dove è stato anche istituito il Restoring Lampedusa Island, un laboratorio pilota.

Ma quale sarà il futuro del progetto BlueMissionMed se formalmente è valido fino al 31 dicembre 2025? La Commissione europea sinora non si è espressa e non esiste una fase successiva ufficialmente approvata. Tuttavia, la Missione Restore our Ocean and Waters by 2030, di cui fa parte, proseguirà e inoltre sono stati introdotti i cascading grants, finanziamenti – fino a 2 milioni di euro per singola azione pilota – da erogare ad amministrazioni locali, Ong e comunità costiere.

Si può comprendere meglio ora qual è la vera funzione di BlueMissionMed: fare da catalizzatore e connettere più parti interessate, individuare soluzioni replicabili e attrarre ulteriori fondi europei per amplificare l’impatto.

Anche il Wwf – che si è unito a BlueMissionMed nel 2025 – con il suo rapporto Depolluting the Mediterranean ha individuato 87 soluzioni concrete per ridurre l’inquinamento, dalle plastiche biodegradabili al riuso dei packaging, dall’intelligenza artificiale per monitorare le acque reflue alle Nature Based Solutions per proteggere le coste. Nel rapporto la buona notizia è che molte delle soluzioni innovative presentate, circa il 24%, possono essere immediatamente implementate; l’altra buona notizia è che, negli ultimi 5 anni, i rifiuti marini sono diminuiti di quasi un terzo, grazie anche alle recenti politiche, ma che ancora sono insufficienti da sole a salvare il nostro mare.

Il progetto BlueMissionMed, in sintesi, non è un progetto europeo di supporto economico come gli altri, ma punta a qualcosa di più. La sua vera Mission è la capacità di attivare una governance condivisa e attrarre ulteriori investimenti che permettano di rigenerare le acque del Vecchio continente entro il 2030, come previsto dall’Unione europea.

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