I principali indici azionari americani ieri hanno toccato i massimi di sempre. Merito principalmente di quel che accaduto sul mercato dei bond
I principali indici azionari americani ieri pomeriggio hanno toccato i massimi di sempre e hanno poi chiuso la giornata in parità dopo le minacce di Trump di imporre nuovi dazi contro il Canada. Il principale indice azionario italiano ha chiuso ieri sopra i livelli di marzo; nel frattempo gli investitori hanno fatto i conti con una guerra commerciale che ha mandato in rosso i mercati, con l’attacco ucraino ai bombardieri strategici russi e da ultimo con i bombardamenti di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran.
Per noi europei c’è stato anche l’accordo per aumentare gli investimenti in difesa per punti percentuali di Pil; sono importi che minacciano la pace sociale e possono minare la fiducia degli investitori sulle finanze pubbliche europee.
Le criticità degli ultimi mesi non sono state risolte e al massimo si può scommettere su una fase di breve periodo di relativa calma. Gli indici però continuano a salire non solo a Wall Street ma anche a Milano e nelle principali piazze europee.
Il Presidente della Fed nel corso nell’audizione al congresso di martedì ha messo in evidenza l’incertezza di questa fase e i rischi di ripartenza dell’inflazione a causa della guerra commerciale. Powell ha fatto intendere di voler in qualche modo subordinare l’obiettivo di massima occupazione a quello della stabilità dei prezzi e questo potrebbe significare una politica monetaria meno accomodante di quanto vogliano i mercati.
Nelle stesse ore in cui il Presidente della Fed incontrava i membri del congresso in uno dei due meeting annuali, il Wall Street Journal svelava una possibile contromossa di Trump: l’inquilino della Casa Bianca potrebbe designare il successore di Powell con un anno di anticipo rispetto al termine del mandato. Questo sarebbe il modo per risolvere, senza un licenziamento traumatico, il problema della sostituzione di un banchiere centrale che si rifiuta di tagliare i tassi e di implementare una politica monetaria più espansiva.
Nessuno sa con certezza cosa succederà all’inflazione e quando, ma mettere a capo della principale banca centrale del pianeta un Presidente meno attento alla stabilità dei prezzi può avere solo una conseguenza nel medio termine. In questo quadro i Governi, sicuramente quello americano e giapponese, “risolvono” le preoccupazioni degli investitori sulla tenuta dei prezzi tagliando le emissioni di obbligazioni a lungo termine in favore di quelle a breve.
Gli investitori potrebbero risolvere tutte le proprie preoccupazioni, dalle implicazioni della polemica tra Trump e Powell o, in Europa, alle conseguenze dei maggiori investimenti in difesa, comprando obbligazioni a lungo termine con rendimenti più alti di quelli attuali; quando però si palesano queste preferenze i Governi tolgono dal tavolo l’opzione ricalibrando le emissioni.
I mercati azionari si trovano quindi senza concorrenza e anzi diventano, per ora, lo strumento con cui proteggersi da possibili scenari di politiche troppo accomodanti e di prezzi più alti. Si possono sicuramente immaginare scenari in cui anche questo schema si rompe. Ricalibrare le emissioni di debito pubblico emettendo molto più a breve termine che a lungo è una soluzione una tantum non priva di rischi. Al momento, però, questa soluzione basta e avanza a New York e a Milano.
I mercati che salgono più che una contraddizione rispetto a uno scenario carico di rischi diventano un suo effetto. Se le cose dovessero mettersi male ci sarà un nuovo Presidente della Fed con il mandato di spingere la crescita e calmare i mercati; saliranno i prezzi inclusi quelli delle azioni. Se e quando arriveranno i problemi si vedrà se questo basta.
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